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Pablito, a domani

di Gabriele Romagnoli
 

Pablito, a domani

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La prima cosa bella di lunedì 4 luglio 2022 accadde domani, quarant’anni fa, ma la giornata precedente che bisogna immaginare, questa notte, nei panni di Paolo Rossi, per sempre Pablito. Perché il 5 luglio lo sanno tutti che cosa fece: 3 gol al Brasile e strada spianata verso la vittoria nel Mundial. La conquista la squadra, ma quella partita è solo sua. Inimmaginabile, la sera prima.  La sera del 4 Paolo Rossi era quasi nessuno, non aveva ancora segnato e giocava male. Forse avrebbe perfino preferito non riprovarci, poi trovò la forza per farlo. Covava dentro la resurrezione sportiva, una cosa che se la ripensi può diventare una salvezza ogni volta che credi sia finita. Non lo è. Puoi tornare in campo e non solo cavartela, ma giocare la partita migliore della tua vita, quella che non avevi mai osato neppure sognare. Che non sia qui a ricordarla è un dettaglio e, diciamolo pure, noi non sappiamo con assoluta certezza che cosa succede quando pensiamo sia finita. Magari ricomincia, in qualche misterioso modo. Una sola cosa volevo dire e un giorno gliela dissi. Si è parlato molto della strepitosa parata di Zoff che salva il risultato sul 3 a 2, ma sono sicuro che se la palla fosse entrata, poi l’avrebbero rimessa al centro, via, e Paolo Rossi avrebbe segnato il quarto gol.   

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(Leggo)

«Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata» Mt 9, 18-26.

Due episodi incastonati uno nell’altro. Due storie distanti e imparentate dalla sofferenza. Due donne “figlie”, perdute e ritrovate. Una è la figlia “morta proprio ora” di un notabile di un villaggio della Galilea, l’altra è una donna con un problema ginecologico, forse una metrorragia cronica, e sarà Gesù a riesumare in lei la sua figliolanza.

(Prego)

Di Cristo splendore del Padre
del Sole di ogni mattino
nel primo chiarore del giorno
la terra racconta la gloria.

(Agisco)

Essere medicina per chi mi è accanto.

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Il razzismo proprio no (Paradiso XVI)

 
 
 

«Sempre la confusion de le persone

principio fu del mal de la cittade, 

come del vostro il cibo che s’appone»

(Paradiso XVI, vv.67-69)

Giuro, io non ce l’ho con Cacciaguida. È che il compito che Dante gli assegna proprio non m’aggrada.

Provo a procedere con ordine.

Sedicesimo canto, il secondo dei tre che vedono centrale la figura dell’avo di Dante. Quando il poeta intende chi sia colui che si trova di fronte, si bea della nobile casata da cui discende, passa a dargli del “voi” e lo tartassa di domande circa il suo anno di nascita, i propri antenati e la popolazione della Firenze antica.

Cacciaguida non si fa pregare e, dopo aver confermato al pronipote che i suoi avi abitavano nel vetusto sestiere di San Pietro, si produce in un classico esempio di come pensi e parli un laudator temporis acti, ovvero un nostalgico del passato. Un reazionario fino ai limiti del razzismo.

Scopriamo così che i guai della città gigliata deriverebbero tutti dalla contaminazione della gente pura (v.51) di Firenze con gli inurbati del contado, tanto che la raffinata popolazione che si vantava di discendere direttamente dai nobili Romani è stata poi costretta a sostener lo puzzo del villan d’Aguglion,  …che già per barattare ha l’occhio aguzzo! (vv.55-57).

Reggere la puzza del contadino: mi spiego?

Peraltro, la dosa è subito rincarata: dacché ogni fiorentino e cambia e merca (v.61), cioè si dedica al cambio delle valute e al commercio, la degenerazione della Città è segnata in maniera irreversibile.

E Cacciaguida conclude:

«Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s’appone»

(Paradiso XVI, vv.67-69).

Tradotto: Mescolare le genti è sempre stato causa del male delle città, così come aggiungere cibo a quanto non digerito è l’origine dei vostri malanni.

Se pensiamo che, di lì a poco, Boccaccio nel suo Decameron tesserà gli elogi della nuova civiltà comunale e della classe mercantile, se consideriamo che, meno di due secoli dopo, chi renderà davvero grande Firenze sarà la famiglia dei Medici, che di professione facevano i banchieri, ce n’è abbastanza per cogliere tutto l’anacronismo di Dante che, per bocca del suo trisavolo, inneggia ad un passato che non c’è più e che, per quanto riguarda le sue vene razziste, è giusto che sia stato spazzato via.

Eppure il canto si era aperto con i giusti auspici. Provo a riassumere il contenuto delle prime terzine: O nobiltà di sangue, tu che sei ben poca cosa…. tu sei un mantello che in fretta si restringe: tanto che, se non si aggiunge panno a panno, il tempo continua a sforbiciarlo…

Insomma: sic transit gloria mundi! Così passa la gloria del mondo: sono le parole che il cerimoniere pontificio ripete per tre volte al papa neoeletto, mentre gli brucia sotto gli occhi un batuffolo di stoppa.

Detto con Qoelet: «Vanità di vanità e tutto è vanità»(Qo 1,2).

Solo che Dante/Cacciaguida non se ricordano quando si tratta di Firenze e della propria casata. Toscanacci entrambi, niente da aggiungere.

Pablo Picasso: «Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere».

Indro Montanelli: «Siamo tolleranti e civili, noi italiani, nei confronti di tutti i diversi. Neri, rossi, gialli. Specie quando si trovano lontano, a distanza telescopica da noi».

Tahar Ben Jelloun: «Il razzismo è ciò che trasforma le differenze in disuguaglianze».

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Il limite della pazienza

 
Tanguy, film di Etienne Chatiliez, raccontrava una storeia simile nel 2001

Tanguy, film di Etienne Chatiliez, raccontrava una storia simile nel 2001

Anche il giorno di ieri non è passato invano: se lo avevo dimenticato ho ricordato e se non sapevo ho imparato che esiste il principio di autoresponsabilità. Esiste nel nostro ordinamento, intendo. C’è un giudice a Napoli che lo invoca. Ho letto e riletto l’articolo di Stella Cervasio che racconta di questo impiegato di banca in pensione, separato dalla moglie, che continuava a corrispondere alla figlia trentaseienne un assegno di mantenimento. Per gli studi, tra le altre sue esigenze: solo che la ragazza, chiamiamola così, è fuori corso di diciotto anni.

Cioè si è iscritta a Medicina a diciotto e dopo altri diciotto, a trentasei, non ha ancora finito. Appellandosi al principio non giudirico del “c’è un limite alla pazienza nostra” il padre ha chiesto di interrompere l’assegno e un primo giudice ha detto no: deve pagare finché la figlia non è in grado di mantenersi da sola, come prescrive la legge. Una seconda giudice però, in sede civile, ha estratto dal cilindro della giurisprudenza l’autoresponsabilità. Immagino che sia un concetto che gira attorno al tema che se a quell’età non te la cavi da sola (e non hai impedimenti che te lo impediscano) un pochino te ne stai approfittando: magari se nessuno ti passa i soldi un modo per procurarteli lo trovi.

Un lavoro anche part time, per esempio. Lo so, è brutale. Lo so, l’amore dei genitori per i figli è inesausto e il sostegno inestinguibile. Però è anche vero che togliere le mani aiuta i neonati a cercare l’equilibrio, infine a camminare. Qualcosa di simile può accadere anche a trentasei. Per non parlare delle sorprese che potrebbe riservare l’autoresponsabilità applicata a ogni ambito della vita, a cominciare dalla politica. Una miniera.

 

 

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Taglia unica corpi diversi

Da tempo quasi tutte le case di moda stanno scegliendo modelle di tutte le taglie per i loro prodotti

Da tempo quasi tutte le case di moda stanno scegliendo modelle di tutte le taglie per i loro prodotti

Seguo da qualche giorno il dibattito animato da un post di Laura De Marco, su Facebook, che racconta di aver accompagnato la figlia a comprare un paio di jeans in una catena molto popolare fra le ragazzine fra gli 11 e i 13 anni. Anzi tre catene, diversi marchi dello stesso gruppo. Sul cartellino dei pantaloni c’è scritto Taglia Unica. “Ci deve essere un errore, penso”. La commessa conferma, non ce ne sono di più grandi. La madre domanda “unica sulla base di cosa, quale taglia viene considerata di riferimento?”.

La commessa risponde che “le ragazzine hanno tutte le stessa taglia e dunque i jeans vengono prodotti in taglia unica: 36/38”. Non puoi essere una taglia 40 o 42, comunque molto magra, per entrare in quella taglia unica per fili d’erba. Non puoi essere robusta: “Se vuoi avere lo stesso jeans delle tue amiche devi essere magra come loro, massimo una 38. Non possiamo accettarlo: è istigazione all’anoressia, ne va della salute mentale dei nostri figli, della loro libertà di avere corpi con rotondità differenti”.

Tra i commenti alcuni rilevano che se la linea di abbigliamento – che deve vendere, evidentemente – ha optato per la taglia unica si vede che la maggior parte delle ragazzine entra in quei pantaloni perché, appunto, “hanno tutte la stessa taglia”. Non conviene produrre taglie diverse, se ne venderebbero poche. Qui scatta il tema delle minoranze: delle diversità, che nel concetto stesso contengono la distanza dal canone, da quel che è “normale”. La maggioranza. Se non c’è un pantalone per te sei “sbagliata”. Si tratta di decidere, insomma, nella gerarchia delle priorità, se contano più i corpi o i pantaloni. Cosa viene prima, cosa poi. Se l’errore sei tu o quel paio di jeans.

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Un po’ di Banana Yoshimoto…

 
 
 

Una scrittura che scandaglia

Una scrittrice sempre molto attenta al nostro mondo interiore, sa scandagliare ogni sentimento, ogni emozione, ogni percezione della vita stessa con estrema delicatezza e tanta maestria. La sua scrittura è dolce poesia.

Con parole semplici ci spiega, ci descrive momenti di vita che tutti noi ci troviamo ad affrontare non sempre con facilità.

In “Il dolore, le ombre, la magia” incontriamo Shizukuishi che pian piano imparerà a mettere a tacere la malinconica tristezza di non vivere più nel luogo amato, la montagna e di non condividere più il tempo quotidiano con la nonna o l’amico Kaede. La solitudine che l’attanaglia, la costringe a stare a contatto con le persone anche per una semplice chiacchiera. In questo modo scoprirà la vita in città piena di piccoli momenti di felicità compreso quello derivante dall’amore per Shin’ichirō imparando ad assaporare ogni singola esperienza quotidiana come il “qui ed ora” di un futuro, il suo, nel suo lento evolversi.

In “Sonno profondo” ci sono tre racconti; nel primo impareremo a conoscere Terako che dovrà fare i conti con il grande dolore di una perdita nonché a vivere un amore da donna-amante. La sua forza interiore non tarderà a fare capolino e spingerla a riscoprire quanto la vita sia comunque bella. Nel secondo incontreremo due donne Sarah e Marie fare i conti con la morte di un uomo tanto amato e affrontare questo dolore assecondando con tanta sensibilità la danza del proprio dolore.

Nel terzo racconto Fumi rivede in ipnosi la defunta Haru sua rivale in amore e in questo nuovo incontro riscopre una donna diversa e una se stessa diversa. Entrambe si confidano sentimenti mai espressi ed emozioni mai affiorate.

In questi racconti è magistralmente descritto un momento “di stallo”, una notte fin troppo prolungata che ognuno di noi ha potuto vivere e da cui è stato, a volte, dura  distaccarsi per riprendere il corso regolare del tempo, ma tutto è possibile con pazienza e analisi interiore.

Nel racconto “le sorelle Donguri” ritornano i temi presenti nel libro precedente: la perdita di persone care, il superamento del dolore. Le sorelle, attraverso le loro esperienze di aiuto, il loro donarsi all’altro per il suo bene, riescono a trovare pace per i loro stessi tormenti e tristezze mostrando il grande potere salvifico della condivisione, dell’esserci. Un viaggio attraverso il quasi flusso di coscienza della protagonista principale, Guriko che ci apre le porte della sua anima e portandoci per mano ci insegna che è sempre possibile riprendere a sognare.

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Una Mantide poco religiosa

 
 
 

Dialogo semiserio sulla pensione e dintorni…

Mi ha raggiunto alle spalle, con passo felpato, proprio lui che è stato sempre e da sempre un amico gaudente, sorridente, effervescente e con gli occhi lucidi mi ha detto così all’improvviso: Tonio non sono pronto, no, non sono pronto ancora.

Mi ha sorpreso, sono rimasto in silenzio, in una frazione di secondo ho avuto il timore che stesse lì lì per darmi una brutta notizia, di quelle brutte e visto che non proseguiva l’ho incoraggiato con un sorriso a farlo.

Che è successo?

Tonio lo vedi e lo sai tutto ciò che ho realizzato ed ora non conto più niente: mi hanno mandato in pensione!

L’ultima volta e risale già a qualche mese fa, sono stato su’ in riunione, ma nessuno dico nessuno mi ha rivolto la parola. Dopo anni in cui ho sentito la mia voce risuonare tra le pareti della grande sala, l’ultima volta non solo non ho parlato, ma anche quando ho provato a farlo, mi sono reso conto che tutti mi guardavano infastiditi quasi in cagnesco…

Qualche giorno fa ho incrociato un amico collega che poi per telefono mi ha raccontato che non gode di buona salute e che anche per questo accidente, ha deciso di andare in pensione. Il tono di voce era rassegnato. Si rassegnato!

Questa mattina in studio una mamma mi ha confidato che il suo ostetrico è stato messo in condizione di andare in pensione, ma lui, mi ha detto la giovane madre, era molto giù di tono, troppo giù di tono, che era molto preoccupato e turbato per un cambio di stile di vita così radicale e dopo tanti anni di professione.

Circa un mese fa ho incrociato un altro collega che ho notato camminare con una andatura incerta, con le spalle curve, con una espressione assente. Poi ho saputo che era andato in pensione.

Personalmente questa donna bella, fredda e vendicativa la incontrerò tra non molto. Nell’osservare tutte queste condizioni, mi sforzo di trarre tesoro ed insegnamento. Mi impegno per la mia salute a farmi trovare pronto si, a farmi trovare pronto. A non cedere poi alle beffarde lusinghe degli adulatori e a chiudere dignitosamente ed orgogliosamente il lungo percorso della professione che a tutt’oggi tra alti e bassi mi ha regalato il traguardo dei 37 anni. Eppure devo comunque dire che la Mantide della Pensione, risparmia dai suoi strali velenosi le donne. Si perché in realtà le donne professioniste, mogli o non mogli, hanno già trovato una valvola molto importante di occupazione nella casa, magari nel seguire il percorso dei figli. Ma con i maschietti è vendicativa, crudele, a tratti beffarda, tanto beffarda che prima ti tenta lasciandoti intendere che tutto sommato sarebbe preferibile. scendere dalla giostra e diventare serenamente spettatore, tranne poi a distanza di qualche mese o anche meno, insinuarsi nella testa, ripetendo fino all’esaurimento: hai fatto molto male ad andare in pensione, peggio per te. Ti ho fregato, ti ho mentito, ed ora devi stare male molto male. Forse che non sei stato tronfio fino a qualche settimana fa, quando hai continuato a pensare, sbagliando, di essere indispensabile! Ora ti devi rendere conto che avresti dovuto essere più umile, più corretto, più modesto, perché tutti siamo utili ma nessuno è indispensabile. Inoltre, e questo è ancora più simpatico e divertente, un altro carissimo amico quando lo venne a sapere disse: Tonio, oggi neanche ad un omicida si danno 30 anni di carcere e tu mi dici che già ne hai fatti 37!? Ma come fai?

Marco gli ho risposto: sono geneticamente programmato per lavorare e tra l’altro a fare un lavoro di servizio.

È quando sarà, se sarà se ne avrò tempo e occasione, mi chiuderò alle spalle la porta del bagno, legherò al radiatore la perfida Mantide traditrice e guardandomi allo specchio dirò mentre tu vomiterai veleno per la rabbia: e non basta. non ti basta, ringrazia il destino e non solo di aver lavorato per 39 anni. Basta, lascia spazio agli altri. Il tuo tempo almeno per la professione è finito. Sii fiero di ciò che hai fatto e stai bene!! Così la perfida Mantide cadrà sul pavimento rabbiosa di bile e sconfitta.

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(Leggo)

«Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno» Mt 9,14-17.

La venuta di Cristo è paragonata al vino, simbolo dell’esultanza messianica. Gesù a Cana offre il vino migliore, la cui origine è sconosciuta, perché Dio solo lo offre, alla sua ora, al suo momento. Gesù è questo vino che rallegra il cuore della Chiesa; è colui che offre il vino della salvezza; è il dono di Dio per gli uomini.

 

(Prego)

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con fiducia.

 

(Agisco)

Se attendi giorni meno tristi e dolorosi, che tu possa trovare nella fede il sostegno per continuare a sperare.

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