Mi Descrivo:
Mettere me stesso in parole è come tentare di chiudere il vento in una mano: sfugge, si piega, si fa altro. Le definizioni si spezzano, si invertono, come specchi incrinati che riflettono ciò che non volevo dire.
Un giorno, sul limitare del crepuscolo, trovai una foglia posata a mezz’aria, trattenuta dall’ultimo filo di luce. Le sfiorai il bordo e tremò appena, come se riconoscesse un linguaggio antico, fatto di tocchi e silenzi. In quel tremito mi vidi: un tatto che non invade, che ascolta, che accarezza i confini delle cose per non ferirle.
Sopra di me, il cielo aveva l’occhio immobile delle attese. Sembrava osservare ogni dettaglio, persino quel minuscolo incontro tra me e la foglia. E mi parve che il mondo intero respirasse con la delicatezza di chi sa ancora vedere.
Forse è lì che abito: nei gesti che non chiedono nomi, nelle sfumature che si lasciano cogliere solo da chi non ha smesso di sentire.
Il resto sono parole, e le parole,si sa,non sempre reggono la verità che portano.




