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Era magnifico quel tempo, com'era bello
Quando eravamo collegati, perfettamente
Al luogo e alle persone che avevamo scelto
Prima di nascere

Il tuo cuore è come una pietra coperta di muschio
Niente la corrompe
Il tuo corpo è colonna di fuoco affinchè
Arda, e faccia ardere

Le mie braccia si arrendono facilmente
Le tue ossa non sentono dolore
I minerali di cui siamo composti
Tornano, ritornano all'acqua

Un suono di campane
Lontano, irresistibile, il richiamo
Che invita alla preghiera del tramonto

Gentile è lo specchio, guardo e vedo
Che la mia anima ha un volto
Ti saluto divinità della mia terra
Il richiamo mi invita

 

 

Mi accosto, non privo di deferenza e con una sorta di timore referenziale, ad una grande anima, prima ancora che ad un sommo artista della nostra musica popolare contemporanea, per invitarvi a cogliere la magia degli incastri magici che le persone sanno donarsi. Quello che, per certe interiorità marcatamente sensibili e creative, rappresenta a tutti gli effetti un irresistibile richiamo. Apriti Sesamo.

 

 

Notavo un verso del brano di Franco che ricorda molto da vicino un'immagine presente in Breathe (Reprise) di Dark Side of The Moon, quando i Pink Floyd cantano:

 

Far away across the field
The tolling of the iron bell
Calls the faithful to their knees
To hear the softly spoken magic spells.

 

Lontano, attraverso un campo

il rintocco di una campana di ferro

invita i fedeli a inginocchiarsi

ad ascoltare le magiche note sommesse.

 

 

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Quanto è affascinante perdersi nella struttura di certi brani nel canovaccio di orizzonti che insegue variazioni di sogni e di suoni. 

 

Come per le scale di Escher, portanza di idee nella pioggia di sfumature. Trasalire e Ascendere nella Levità del Vagare,  Spirale che Vortica e raggruma energia contro ogni forma di dispersione.

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Da diverso tempo l'affaccio in community è diventato un pretesto per ascoltare della buona musica mentre fumo una sigaretta. Con la scusa di un post indosso le cuffie, viaggio e mi perdo, dimenticandomi del mondo che fibrilla intorno.

 

Devo dire che ultimamente ne sto scoprendo molta diversamente bella, in linea con il mio sentire, che mi fa focalizzare l'attenzione sul fatto che bisognerebbe dedicare più tempo a fermarsi ad ascoltare, anziché moltiplicare i post per riempire le bacheche, e centellinare i like laddove c'è profondità e respiro, magari una visione spruzzata di qualche emozione.

 

Dai The Pinapple Thief (progressive band di Gavin Harrison, già batterista dei Porcupine Tree) passando per gli ultimi Opeth, che secondo me hanno fatto bene ad abbandonare il Death Metal per abbracciare il Progressive Metal, inanellando pezzi fotonici di una sconcertante bellezza. Come a dire, sempre Wilson c'entra.

 

Stasera, per restare in casa, mentre vagavo sul tubo alla ricerca di qualcosa di nuovo, mi sono imbattuto in un vecchio pezzo dei Porcupine Tree (band a cui è stato dedicato un intero speciale a puntate in Millenium21) appartenente a quella che agli albori del gruppo era la discografia "parallela", "ufficiosa", a tiratura limitata e di difficile reperibilità ai tempi dell'uscita, che oggi è stata ristampata, talvolta inclusa come b-side delle riedizioni dei cd storici; molti di questi brani erano nati duranti le session degli album ufficiali, e spesso contenevano intuizioni musicali geniali, al pari se non superiori a quelle dei brani inclusi nei CD ufficiali.

Così, attratto dalla spirale cosmica della galassia che campeggia nel video, mi sono messo ad ascoltare questo brano che non avevo mai udito. 

 

Steven Wilson è una delle menti musicali più eclettiche, creative e geniali degli ultimi decenni. Si è inventato per gioco una band inesistente suonando tutti gli strumenti, è un grande produttore e tecnico del suono (Robert Fripp, altra mente folle che lo precede nella scala genealogica gli ha affidato la rimasterizzazione dei classici dei King Crimson, per dire), dopo aver portato alla ribalta i Porcupine rivitalizzando il Progressive si è dedicato ad una luminosa carriera solista, sfornando altri brani pazzeschi, ha preso in mano gli Opeth al punto da farli svoltare musicalmente, ha recentemente portato in auge i Porcupine, quando ormai tutti li credevano una forza musicale esaurita. Sono profondamente legato ai primi Porcupine con cui lo scoprii, e non tanto per nostalgia verso quella sua psichedelia di matrice cosmica, dall'anima intimamente floydiana; piuttosto perché all'epoca emergeva quella voglia latente di suonare il suo strumento, la chitarra. Si parla spesso della genialità di Wilson nel produrre, scrivere testi, essere mente e faro guida dei progetti che lo caratterizzano, raramente si pone l'accento sulla sua versatile creatività come chitarrista. Si fanno sempre altri nomi, eppure Steven per me è stato e resta un grande interprete del suo strumento, con una luminosa capacità creativa negli assoli. Ne ha scritti di bellissimi, tremendamente incisivi, efficaci, visionari, mai una nota fuori posto, mai una nota più del necessario. Eppure graffiano, debordano, ti sparano lontano. L'assolo di questo brano ha molte caratteristiche che me lo rendono caro, dallo stirare la nota per poi avvitarsi in quella che sembra a tutti gli effetti una spirale che afferra il brano, lo avvita finendo per spararlo  lontano, con l'utilizzo del wah-wah che impasta il suono in un mood allucinato, cosmico, ricco di un'eco remoto che affiora dal dentro.

 

Quando scopro la musica mi sento vivo, quando ne parlo mi emoziono, viaggio e vibro. Mi fermo e ascolto le voci che credevo perdute in qualche anfratto remoto, invece sono ancora lì che tuonano, a ricordarmi da dove vengo, chi sono, dove sto andando.

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Cercare, avvicinarsi per poi accorgersi che c’è ancora tanto da scoprire, il bisogno di silenzio, di un colloquio a due. La necessità di un’intimità che abbiamo dimenticato. Eccoci. Se avrete il tempo vi racconterò di me con la gioia di chi si svela dopo un lungo tacere. Sono magie che possono manifestarsi solo quando si è Così Vicini. - Cristina Donà

 

Cristina Donà è un'artista straordinaria. Arriva in profondità nel cuore delle nostre emozioni vitali con la levità di una farfalla. Testi che sciolgono nodi soffocanti mentre intessono orditi di significati. Con quella semplicità nello sfogliarti l'anima che lascia a bocca aperta. Spesso gli basta l'accompagnamento di una chitarra o poche note di piano, come radici di albero per elevare un nuovo mondo da cui guardare lontano.

 

Quando scrivo una canzone, solitamente, utilizzo pochi colori…uno strumento una chitarra o un piano e delle parole che cercano una melodia. Mi piace, di tanto in tanto, riportare le mie canzoni alla loro forma primordiale, guardandone lo scheletro, l’ossatura che le sostiene, per godere della loro essenza. Mi piace guardarle in controluce. - Cristina Donà 

 

Il primo contatto con la sua arte musicale avvenne durante l'ascolto della meravigliosa "Universo". Ora che nutro un intimo bisogno di raccoglimento, di fermarmi ad ascoltare, ricercare e comprendere la natura delle cose, per riprendere a volare, per tornare a sognare, la sto riscoprendo a piccoli sorsi e salutari boccate.

 

Tra le cose curiose che sto scoprendo spulciando nella sua biografia, oltre alle collaborazioni artistiche sin dagli esordi che già conoscevo, mi incuriosisce il Diploma in Scenografia all'Accademia di Belle Arti di Brera, e il suo lavoro in scenografia in teatro e alla realizzazione di videoclip, prima di intraprendere la carriera di musicista. Altre curiosità che apprezzo, oltre alla somma arte in materia musicale, il suo orientamento ecosostenibile con la scelta reiterata del crowdfunding per la realizzazione di alcuni suoi album; nonché l'interattività nel dare valore e significato alla relazione con le persone che la sostengono con la creazione della Web-App da lei battezzata “DonÀPP”, pensata per rendere ancora più diretta la connessione con il proprio pubblico. Una vera e propria corsia preferenziale attraverso la quale poter ricevere contenuti inediti, in esclusiva o in anteprima realizzati ad hoc. 

 

Le sue canzoni danzano scalze su un tappeto di foglie e ti proiettano nel crepitìo del cuore. 

 

deSidera promo

Foto dal web di Francesca Sara Cauli
Virgolettati dell'autrice e altre info: Cristina Donà

 

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Provo un senso di disagio che rasenta la sgradevolezza durante  l'ascolto di questo brano. Formalmente è la solita produzione ipercurata a cui ci ha abituato Waters che, negli ultimi anni, ha persino raggiunto un'attenzione maniacale. Video di grande impatto, notevole attenzione ai dettagli sonori, grande lavoro vocale della cantante nel finale. Solo che, prima di allora, c'è un appiattimento musicale imbarazzante. Sette minuti di litania del niente. Mi domando dove sia finita l'anima del brano, sinceramente.

 

Comfortably Numb è uno standard dei Pink Floyd, uno dei più celebri, con un'identità chiara, e mi domando se Roger non abbia voluto intenzionalmente demolirla in questa riscrittura, perché troppo ingombrante. 

 

Il suo punto di forza è sempre stato il gioco di chiaroscuri con rimpallo di voci nell'alternarsi di paesaggi musicali, sublimati dagli assoli di chitarra di David Gilmour, universalmente considerati, anche al di fuori del cerchio dei fans dei Floyd, tra i più belli che la storia del rock abbia mai annoverato. Soprattutto, Comfortably Numb è un brano di Gilmour che ne scrisse la musica ai tempi del suo album solista omonimo del 1978, nell'intervallo tra Animals e The Wall, in uno dei momenti di maggiore tensione all'interno del gruppo. Tenuto da parte, fu recuperato in The Wall, Waters ne scrisse il testo, diventando il momento clou del disco e del concerto; laddove Pink deve esibirsi, in preda al malessere, con il dottore che gli somministra medicine per farlo salire sul palco, perché lo spettacolo deve continuare. Da un punto di vista concertistico, lo spettacolo raggiungeva il suo  climax con la band

completamente nascosta dal muro ultimato, e David che eseguiva gli assoli in cima allo stesso. 

 

Nel corso degli anni post Floyd, Comfortably Numb è diventato sempre più il cavallo di battaglia del chitarrismo e delle sonorità di David, con fantastiche riscritture del secondo assolo a culmine dei suoi show, prima con i Pink Floyd e poi da solista. Per contro, lo stesso brano, è sempre apparso il punto debole degli spettacoli di Roger, nel tentativo di replicarne il feel, senza mai pienamente riuscirvi. Pur ingaggiando musicisti eccellenti (dalla diversa anima) giocando spesso ad alternare l'assolo finale con l'impiego di due chitarristi. Sempre tutto spettacolare e suonato in maniera impeccabile, ma gli assoli di Gilmour sono un'altra cosa. Suo il brano, sua l'identità musicale, sua la chitarra che suona come una fuga dalla vita ineguagliabile.

 

Non mi sorprende che Roger in questa operazione abbia voluto stravolgerne l'anima, men che meno che nella sua ultima idea di show abbia studiato di infilarlo all'inizio anziché in chiusura, nel momento catartico di maggior pathos. Quasi a volerlo far scivolare via, evitando di inciamparci nel momento clou del concerto. 

 

Il testo, estrapolato dal preciso contesto per cui fu studiato, suona come un corpo estraneo nel contesto apocalittico disegnato da Roger. E tutto suona dimesso, imbarazzante al limite dell'irritante. Come irritante è l'idea di fondo di volersi appropriare di tutto quanto fu del gruppo. 

 

Waters, che considerava i Pink Floyd una forza esaurita, nei primi anni si era impegnato con belle produzioni soliste d'autore, forti della propria scrittura e della visione personale del mondo, alternate ovviamente (come è giusto che fosse, essendo l'autore dei concept e di buona parte delle canzoni) ai brani del vecchio gruppo di cui era leader. Negli ultimi anni, si è messo con notevole impegno a riportare in concerto gli spettacoli dei Pink Floyd, recuperandone i simbolismi fin quasi all'esasperazione, forte dei notevoli progressi tecnologici succedutisi nel corso dei decenni. Dal prisma tridimensionale che si materializza a forma di piramide durante l'esecuzione di Eclipse, all'oleogramma della centrale di Battersea che si eleva sul palco durante l'esecuzione di Dogs, fino alle spettacolari esecuzioni integrali di The Wall, che all'epoca dell'uscita scontava notevoli difficoltà scenografiche di allestimento ed esecuzione. Trovate spettacolari di sicura presa che hanno ravvivato l'alone di mitologia che ha sempre circondato la band a cui ha saputo dare nuova linfa. E fin qui nulla di male, rientra nel gioco delle parti e nella legittima rivendicazione della musica scritta nel corso degli anni. 

 

Tuttavia la riscrittura personale di Comfortably Numb non gli è riuscita affatto bene. Un'operazione imbarazzante che suona in modo terrificante. Non c'è vertigine, non c'è ascensione, non resta niente, a parte uno splendido urlo finale; per quello, bastava e avanzavaThe Great Gig In The Sky.

 

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Non è facile parlare a cuor leggero di Syd Barrett, tanto fu enigmatica e indecifrabile la sua esistenza come uomo e come artista. Ricordo la sensazione strana, irreale, il giorno che appresi della sua dipartita in quel luglio del 2006, lui che per anni fu relegato ad un silenzio molto simile all'oblìo, sembrava fosse morto una seconda volta. Cercare di dare un taglio al suo breve e luminoso passaggio nell'universo rock non è stato facile, ho scelto la purezza incorruttibile di un animo che lo ha profondamente ispirato finendo per bruciarlo in una violenta combustione che ha avuto un lento lunghissimo rilascio. Artista che non si è mai atteggiato, sebbene certi suoi eccessi eccentrici potrebbero far credere il contrario, in questo fu profondamente floydiano, un gruppo che nei decenni ha trionfato grazie all'anonimato dei suoi mentori, che ha preferito alimentare simbolismi (il prisma, il muro, la mucca nel prato, il maiale volante) nascondosi dietro uno strato di luci e suoni, anziché celebrare l'iconografia dei suoi membri. Certo è che il suo breve transito nel circuito rock ha lasciato influenze importanti ed eredità indelebili.

 

A lui è dedicato più di un passaggio nel blog Millenium21 nel difficile  tentativo di approfondire alcuni aspetti della sua singolare arte, svelando alcune curiosità, tra le tante che meritano di essere raccontate.

 

Syd Barrett (intro)

Syd Barrett (i primi singoli)

Syd Barrett (il fiabesco in Piper).

Syd Barrett (il cosmico in Piper)

Syd Barrett (oltre i Floyd)

 

 

 

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Nursery Crime

 

Un bell'articolo di Elisa Galeati apparso sul blog dell'editore milanese  Topipittori svela alcuni arcani riguardo la  copertina di Paul Whitehead dell'album dei Genesis "Nursery Crime" e l'ironia  celata nel gioco di parole tra "Rhyme" e "Crime" per introdurci nell'ambiente al contempo fatato e stregato delle "Nursery". Come già ho avuto modo di scrivere a proposito dei vari post dedicati a Syd Barrett (Pink Floyd) apparsi sul blog Millenium21, il legame tra certa musica e il mondo immaginifico dell'infanzia (dove magico e macabro si sposano con una certa disinvoltura) è alquanto radicato.

 

 

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Franco Mussida è universalmente noto come chitarrista della Premiata Forneria Marconi, band nella quale ha militato decenni scrivendo alcune delle pagine più memorabili della musica progressive, non solo italiana. 

 

In questo mese di ottobre ha pubblicato un album pieno di splendore, dove affiora illuminante la sua missione di terapeuta musicale. La musica come forma di comunicazione in dialogo costante con l'arte, come esplorazione di singolarità e differenze, come comunione di energie interiori intense. Espressione di una dimensione superiore alla somma talvolta sublime di note, in quanto tale, inattaccabile. 

 

Veniamo al mondo con una missione, esprimere il meglio di quello che abbiamo in dote, ma resta una vana speranza se non sappiamo mettere in circolo le nostre visioni legandole alle migliori intuizioni degli altri. La positività è un'architettura mentale invisibile che rilascia un profumo tangibile, è nella natura, in ogni compiuta manifestazione artistica, nella trasfigurazione di un'ideale;  è nell'entusiasmo contagioso di alcune persone che ti investono della passione delle loro parole, nelle fiamme dei loro sguardi mentre ti parlano aprendoti al loro mondo.

 

"Sciocchi che siamo, a starci così lontano si appanna la vista, ci si perde di vista e tutto ci cade di mano".

 

 

 

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Tra i più grandi interpreti del basso elettrico
Les Claypool, bassista dei Primus
 

 

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Venti anni fa, nel 2002, usciva Comalies,
il disco di maggior successo,
probabilmente anche il più amato
della band  metal milanese Lacuna Coil.
Questo disco ha segnato anche uno spartiacque 
nella parabola musicale e sonora del gruppo,
che poi si aprirà a sonorità più internazionali
sull'onda di alcune correnti in voga al momento.
 

 

 

Nel 2022, a due decenni esatti di distanza, 
per festeggiare il traguardo, esce Comalies XX.
Non è un'edizione deluxe del vecchio lavoro
contenente bonus tracks e rarità quanto
una completa riscrittura delle vecchie canzoni
che indossano un nuovo abito, totalmente inedito.
Un ardito quanto intellettualmente pregevole
lavoro di una band che ha cambiato pelle 
nel corso degli anni e preferisce mostrare
il volto di oggi anziché restituire una foto
di quello che fu, ingiallita nel tempo. 

 


In c'ero venti anni fa e in questo lasso di tempo
ho visto la community sprofondare nel baratro.
Ragionando in astratto, potrei dire che questo
sembra giustificare la corazza sonora 
che ha rivestito Comalies XX, così come 
il cambio di copertina, in cui non campeggia
più un fiore lussurioso quanto un suo erede spinoso.
Eppure a me manca quello srotolarsi
del tappeto sonoro in mezzo al quale
passeggia intensa e regale la voce di Cristina,
così come manca quella corolla 
colorata e orgogliosamente dischiusa.

Si dice che le persone cambino nel lungo periodo,
se sono ancora qui è perché non mi arrendo
a questo ragionamento; sebbene io per primo
sia profondamente diverso dal ragazzo 
illuso e utopico del 2002, mi divora ancora
quel fuoco ideale di un tempo, con la voglia
di esprimermi in un certo modo e stare
accanto alle persone che mi accendono,
dopodiché sarà il momento buono
per salutare saltando via a pie' pari.

Di questi e altri contenuti musicali 
rimasti in sospeso parlerò a breve
nel blog Millenium21.
Degli altri aspetti personali ideali
c'è sempre il mio profilo privato,
affacciato sul mare all'ombra del faro.
 


​​​​​​Float with us with our Comalies
 

 

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