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Sono più o meno le 10:00 quando accendo il PC ed entro nel mio profilo, pronto a condividere un pensiero.

 

Beh non sapevo di che scrivere.

 

Tornare sempre sullo stesso pensiero interiore, non mi dava ispirazione, ed ho chiuso.

 

Ho riacceso il PC e rientrato in Libero alle più o meno: 13:30. Controllato le attività, mi sono preparato o meglio ho provato a scrivere un pensiero, non che sia obbligatorio scrivere.
Quel che conta è la spinta che da sempre mi porta a scrivere, di cosa viene di solito da se.
Avevo pensato di raccontare di ieri. Insieme alla mia compagna, sono sceso in città. Dalle 10:45 fino più o meno alle 16:00, con pausa pranzo nel mezzo, abbiamo girato o meglio ha girato, perché è lei che più si diverte, per il mercato o fiera della città.
Il mercato più antico e folcloristico, risalente al XIX secolo da quel che so.

 

Una giornata al mercato – 12 Novembre 2022

 

Ma neanche questo è, oggi, nelle mi corde.

Quando scrivere non è in sintonia, faccio altro. La provvidenza non mi ha concesso il dono di un animo guascone, l’animo di chi sa attirare gli occhi degli altri. Non ho, quindi, amici, veri amici. Anche lei, l’amicizia, ha mille sfumature, per quel che per me significa amicizia, non né ho. Ho, però, tanti talenti donati da un destino che ha un senso dello humour, alquanto, ironico.

Disegnare, è il primo talento che ho scoperto, quello che mi ha trovato per primo, quello che negli anni mi ha coccolato, protetto e salvato.

 

Buona domenica cari utenti di Libero. Un saluto speciale alle anime, poche, molto, molto poche, che hanno deciso nonostante l’inerzia mentale della comunità di restare (e spesso tornare), quelle stesse anime, che mi danno ogni tanto il privilegio della visita e dell’interazione.

 

“Un giorno senza sorriso è un giorno perso.” semplice e diretta citazione di Charlie Chaplin, usata come pretesto per donarvi un mio disegno. 🙂

 

Il sorriso del vagabondo.

 

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Puppy blocking its ears and looking up
 

L’ultimo post inserito oltre a raccontare una parte importante della mia vita, conteneva un messaggio per me importante.

 

La Prevenzione.

 

Oggi, non racconterò di me, condividerò, invece, un messaggio, un altro messaggio, per me importante.

 

Nel blog c'è un bel video.

 

 

La cucciola che vedete, ha un solo bisogno ed è: donare amore. E lo fa senza condizioni e filtri. Si dona anima e corpo a me e alla mia famiglia, come nessun essere umano abbia mai fatto e farà mai.

 

C’è ne sono tanti in giro, come lei. Cucciole e cuccioli che danno amore senza, mai, chiedere nulla.

 

Ricordarlo non è una scelta, ma un dovere.

 

Abbandonarli non è una scelta, ma un atto criminale senza perdono (e sì, qui non lo congedo).

 

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Ieri in un messaggio ho scritto:

 

Una mia congiunta intima a 43 anni ha scoperto di avere il cancro […].

 

Il resto del messaggio non è importante per quel che devo raccontare ora. È, però, a dir poco curioso come a volte si condividono confidenze, candidamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Confidenza nata, poi, da un contesto che capita abitualmente a tutti (beh la parte sana di tutti), qui, ringraziare per un apprezzamento. Poi, una frase dopo l’altra si arriva a confidare parte della propria vita, magari per dare un sostegno.
Con la natura dei miei post è, naturale, spontaneo, ricevere confidenze, perché sono confidenze, racconti personali a loro volta, già, i miei pensieri. Nei commenti ricevuti in queste settimane, reciprocamente, ci siamo confidati pensieri e dato sostegno. Sostegno la cui natura si palesa proprio nel descrivere le proprie emozioni, le proprie difficoltà e gioie.

 

Quel che descriverò e condividerò, ora, mi ha toccato e tocca profondamente. Come per molti post precedenti lo faccio per me. È questa la libertà che permette la rete.

 

La congiunta intima è, mia sorella.
Come capita molte volte tra fratelli e sorelle, i caratteri si alternano, quasi a voler bilanciare una naturale predisposizione al contatto, al dialogo e alla convivenza.
Uno riservato o riservata, l’altra estroversa o estroverso. Io sono il carattere riservato, mia sorella invece è il carattere estroverso. Per capire la natura del nostro rapporto, non dissimile da tanti altri.
Devo, per forza di concetto, descrivere la nostra infanzia.
Come ho scritto quando ho parlato del rapporto con mio padre, lui non è stato quello che convenzionalmente si potrebbe definire un buon padre. Non entro nei dettagli non è il caso, mi limito a d’esprimere con una parola quel che è stato. Che è quel serve sapere in questo contesto: Assente.
Mia madre si è, come molte madri dovuta mettere sulle spalle tutto. Purtroppo, dovendo lavorare anche lei a volte solo lei, per gran parte delle nostre giornate: Siamo stati ed eravamo soli.

 

La differenza di età non è tanta, solo 3 anni, abbastanza breve da renderci, quasi, coetanei e questo ha agevolato la costruzione del rapporto.
Potrei raccontarvi tanti episodi, il punto fondamentale era ed è che spesso tutto si concentrava solo su noi due.
La mattina, nostra madre ci preparava per andare a scuola. Come ogni madre amorevole, ci preparava lo spuntino, lo zainetto, il grembiule e ci accompagnava lasciandoci all’ingresso della scuola. La rivedevamo solo la sera quando, lei, ormai stanca si ritirava dal lavoro.

 

Cosa facevamo nelle ore precedenti?

 

Finita la scuola, prendevo per mano mia sorella e da soli tornavamo a casa.
Giunti a casa, preparavamo il pranzo e da soli pranzavamo con la sola compagnia della TV e i cartoni. Io avevo tra i 10 e 11 anni, mia sorella tra i 7 e 8 anni.
Capitava a volte che nel pomeriggio annoiati uscivamo e andavamo nella piazzetta del quartiere. Mia sorella amata pattinare, non sul ghiaccio ovviamento, ma per strada con i pattini a rotelle. Per accontentarla, la portavo in piazza e la facevo giocare. Ricordo che c’era una discesa o salita (fate voi) dove non passavano macchine. Lei si lanciava dalla cima della discesa e arrivata alla fine, io, la prendevo.
Così passava il pomeriggio! Così sono passati gli anni!
Questo è come siamo cresciuti. Poi, ovviamente, ci siamo separati per iniziare ognuno la propria vita personale, ma quel rapporto non si è mai spezzato, non si è mai opacizzato, è sempre presente nei miei silenzi e nelle sue parole.
A volte quando passo, a piedi o in macchina quella piazzetta, i ricordi riaffiorano. Oggi, è diversa, caotica, rumorosa, pericolosa. A volte non la riconosco.

 

Oggi è così e non la riconosco.

 

La scoperta del cancro ha messo a dura prova mia sorella, la battaglia è vinta, ma ancora, oggi, lotta per tenere lontano il mostro, per resistere ai trattamenti, alle forze che mancano, al sostegno, all’equilibrio che ogni tanto viene meno, alle tante visite che hanno trasformato i medici in figure amichevoli e gli ospedali a delle seconde case.
In questi anni, perché orami sono passati anni da quella terribile notizia, è capitato, le volte che mia cognato non poteva, di accompagnarla e riprenderla da un controllo.
E come un tempo per pochi momenti, ho sentito nel cuore rivivere, quei due bambini, che da soli si aiutavano ad affrontare la quotidianità.
Tutti, naturalmente, vicini e lontani, hanno speso una parola di incoraggiamento, non che mia sorella né avesse bisogno, lei è sempre stata forte, all’apparenza una roccia, ma io che per lungo tempo, ho raccolto le sue confidenze, i suoi malumore, le sue intemperanze, conosco le sue fragilità e le sue paure. Non lo direbbe mai, neanche se fosse vitale dirlo, ma ha paura. Beh chi non ne avrebbe, non è semplice capirlo per chi hai accanto, se si fa di tutto per apparire serena, forte, incrollabile, i figli e i mariti, questo devono vedere.

 

A mio modo ho detto, le ho detto: Coraggio, passerà, ti siamo tutti vicini.
Senza, però, mai esprimere il dolore, mai esprimere palesemente il dispiacere, perché, io, sono questo per tutti, l’inafferrabile, l’insondabile. Ma in cuor mio so: non per lei. Perché, forse, lei è l’unica che davvero mi conosce e sa cosa c’è dietro i miei silenzi e il mio modo di fare. La mia compagna mi conosce abbastanza bene, sta piano piano comprendendo come sono, ma credo non capirà mai fino in fondo, chi sono, come io non capirò mai, lei, fino in fondo, perché non abbiamo vissuto e conosciuto il bambino e la bambina che eravamo e siamo stati.

 

Voglio concludere ricordando l’importanza della prevenzione.

 

PREVENZIONE

 

Non è importante solo per la donna, ma anche per l’uomo. La paura è un piccolo mostro che se lasciato libero di crescere può mutare e diventare qualcosa di terribile. Non aver paura, in questo caso, è la strada per vivere la vita.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Immagino capiti anche a voi di destarvi dal sonno e, poi, rimanere a letto, ad ascoltare i rumori che attorno si alternano, c’è ne uno che assiduamente è sempre presente:

 

 

TIC TAC TIC TAC TIC TAC

 

Il tempo! Torna sempre, perché è sempre presente.

 

Ogni frazione di tempo è importante e va sfruttata al meglio. Ecco un esempio di frase fatta.

Durante il giorno ci sono tante cose da fare, tante o poche, secondo i casi e la natura intima, persone da incontrare.

 

In questi giorni sto ricollocando, ridistribuendo gli spazi nel mio studio.
La matematica dice: Che il volume, ossia la misura dello spazio occupato da un corpo, non può variare una volta occupato per intero. Ergo: per qualcosa di nuovo che entra, qualcosa di vecchio deve uscire.

 

Le novità.

 

A detta di chi mi conosce non le so gestire se sono impreviste e imprevedibile. L’essere messo in dubbio è stata una costante fin da piccolo e continua ancora oggi ad esserlo. E non è facile, perché poi tutto questo, rimane rinchiuso, l’armatura non la togli più. E ciò che ti porti come una catena, sempre, sono le domande. Domande a volte folli.

 

Il volume della nostra anima è infinito?
Quante informazioni, emozioni, sensazioni, afflizioni, incomprensioni, quanti oni può sopportare la nostra anima, prima che lo spazio, il volume, imploda?
Perché comincio a dubitare di quell’infinità, se mi guardo attorno.
Ma anche, solo, se mi guardo dentro.
C’è un disequilibrio evidente tra i volumi che riempio io, con la comprensione e il perdono a volte e i sensi di colpa e i rimpianti altre e i volumi che riempiono gli altri e per quanto vecchio faccio uscire, quello spazio è sempre colmo.

 

Il tempo come ho scritto deve essere speso bene.
Anche quello che si dedica qui, se no si sminuisce ogni cose che si scrive, ogni citazione rubata ai saggi, ogni poesia, canzone e immagine sottratta, spesa per comprare un’inafferrabile valore.

 

Si arriva prima o poi a dover scegliere, se sorridere o piangere.
Se esser felice della vita che ho o rassegnarmi a esser triste, perché la vita fa schifo.
Può esserci, anche, di peggio! O forse meglio.
Far finta di esser felice, ma dentro esser spezzati, ci sono momenti in cui prendo ago e filo e cucio, rimetto insiemi i pezzi e mi convinco che tutto va bene. L’auto condizione è una strada come le altre.

 

Cari amici, vi sembra sia troppo pessimista (che non sono) o disfattista o banale, questo ora sono e di certo non sarò solo questo. Perché esser felici significa amare ciò che di brutto e di doloroso c’è dentro di noi.
Un mare in tempesta.

 

 

C'era una volta un filo di cotone che si sentiva inutile. «Sono troppo debole per fare una corda» si lamentava. «E sono troppo corto per fare una maglietta. Sono troppo sgraziato per un Aquilone e non servo neppure per un ricamo da quattro soldi. Sono scolorito e ho le doppie punte... Ah, se fossi un filo d'oro, ornerei una stola, starei sulle spalle di un prelato! Non servo proprio a niente. Sono un fallito! Nessuno ha bisogno di me. Non piaccio a nessuno, neanche a me stesso!». Si raggomitolava sulla sua poltrona, ascoltava musica triste e se ne stava sempre solo. Lo udì un giorno un mucchietto di cera e gli disse: «Non ti abbattere in questo modo, piccolo filo di cotone. Ho un'idea: facciamo qualcosa noi due, insieme!
Certo non possiamo diventare un cero da altare o da salotto: tu sei troppo corto e io sono una quantità troppo scarsa. Possiamo diventare un lumino, e donare un po' di calore e un po' di luce. È meglio illuminare e scaldare un po' piuttosto che stare nel buio a brontolare».
Il filo di cotone accettò di buon grado. Unito alla cera, divenne un lumino, brillò nell'oscurità ed emanò calore. E fu felice.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri un viaggiatore, mi ha domandato se mi interesso di spiritualità?

 

Sì! Un viaggiatore. Perché anche qui, la natura degli utenti si manifesta e identifica dal tipo di cammino che si intraprende.
Un viaggiatore, raccoglie esperienze ed ha sempre una strada in mente. Sono, di solito, ottimi compagni di riflessione. Gli utenti migliori qui dentro, i più interessanti e ricchi in un certo senso, perché condividono esperienza, il problema al massimo può esser la forma di condivisione che può in alcuni casi (pochi) esser criptica.
Ci sono poi: gli osservatori e i disturbatori o molestatori (la piaga di questo comunità, perché nella maggioranza sono sciacalli travestiti da pecore).

 

Se devo usare questa logica per definirmi, userei il termine: Ramingo.
Dall’antico ramenc: “che va di ramo in ramo”, ossia che va errando senza meta.
Ed io come un ramingo, per sorte, per irrequietezza, per una sorta di spiritualità avversa, mi ritrovo ad errare senza volerlo, senza un luogo preciso da visitare.

 

Ramingo nella mia terra.

 

Per rispondere all’amico viaggiatore.
Chi non ha mai puntato gli occhi verso la spiritualità?
Primo o poi tutti si trovano dinanzi ad un’altare, a d’espiare un dolore.
Perché è il dolore che richiama lo spirito e quando si rimette tra le mani, un’anima sofferente, si ci ritrova a mani giunte a pregare.

 

La preghiera. Vero simbolo di spiritualità.

 

Non ho avuto da bambino un buon rapporto con le figure religiose, sia mio padre, che mia madre non hanno mai fatto cenno agli insegnamenti religiosi. Mio padre nelle poche volte che ha accennato il discorso, ha palesato un marcato scetticismo, mentre mia madre ha dimostrato di avere fede, ma quella fede dottrinale che si accetta per cosa fatta, senza un’intima comprensione dei reali valori che nascondono le parole.

 

Le scuole primarie le ho frequentate presso un istituto religioso, un oratorio per esser precisi, dedicato a San Giuseppe, oggi non più esistente (per fortuna) e quello che ricordo di quelli anni, sono le sberle del prete e preside della scuola, i ceci sulle ginocchia e un cupo e inquietante Cristo intrappolato in una buia stanza, poi scoperto esser la cappella della scuola.

 

Mia nonna, finché era in vita ha provato con i propri mezzi a insegnarmi che significa credere, non aver fede, ma che significava per lei esser cattolica e credente.
Ed ho trovato, una consapevolezza postuma, grande saggezza nel suo avvicinarmi alla fede, perché non ha imposto, né detto: così si fa.
Questo! Mi ha lasciato il cuore libero. Quando poi gli studi mi hanno avvicinato alla filosofia e alla storia, leggendo e approfondendo, sono riuscito a costruire una mia comprensione della fede e dell’amore.
Questo, oggi, mi porta ad affermare che c’è spiritualità in tutte quelle confessioni (per restare in tema) che servono alla nostra anima per comprendersi.
In un certo modo e qui, spero di non esser blasfemo e non urtare nessuna sensibilità, si vive una trinità terrena che trova luce in tre parole: Fede, Amore e Vita. Se ami qualcuno e vivi la vita con la fede verso il legame tra te stesso e l’altra o l'altro, sei in spirito, mente e corpo, vicino a Dio, indipendentemente da qualunque volto o nome sia dato a quel Dio.

 

La spiritualità intesa come interesse verso la natura divina delle cose, invece, è ben diversa e racchiude secondo me un’interesse intellettuale delle persone, che trascende la curiosità verso un senso di scoperta che è più mentale, empirico in alcuni casi, che passionale ed emotivo.
Vivo questo aspetto, più come una ricerca del buono c’è in giro o c’è stato.

 

In questo i testi sacri sono miniere d’oro, ma anche molti esempi di vita comune e non comune, che sono trascrizioni su cuore di gesti e atti d’incommensurabile amore.

 

Chissà, se sono riuscito a dare una risposta alla domanda dell’amico viaggiatore?

 

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

Oggi per un impegno sono uscito di casa prima del sorgere del sole, vivendo in un paesino, alcune necessità che non trovo dove vivo, come già sottolineato, richiedono lo spostamento verso la città.

 

Mi sono ritrovato, quindi, a vivere il passaggio dal buio della notte alla luce del giorno: L’alba.

 

Capita spesso e quando un evento è ripetitivo, tende a perdere importanza, interesse, diventa abitudine, non ci si fa più caso.

 

Il buon Einstein diceva: “Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per cosi dire morto; i suoi occhi sono spenti.”

 

Oh cielo!!! Sono uno zombi e non lo sapevo!!!!!! 🙂

 

risateScena ripresa dal film: Fra Diavolo.


E invece no!!! Oggi per la prima volta dopo tempo, dopo tante volte che faccio questa strada, mi sono fermato ad ammirare l’alba. La fugacità di quel momento mi ha spinto a bloccarmi ed ascoltare l’istante.

 

Forse è per questo che gli inni alle meraviglie del sentire si chiamano: Odi.
 

La poesia vissuta nella sua integrità di voce, di vista e udito.
La suggestione è ancora più marcata perché c’è il mare a far d’orizzonte alla nascita del sole, lo specchio vivo espande e riflette tra le nuvole la luce che piano piano costringe il buio a svanire, annichilato da tanta potenza.

 

7 Novembre 2022

 

Potrei fermarmi qui e non scrivere altro, il post tutto sommato è carino, con quel pizzico di poesia in più, che basta a regalare una piccola emozione.

 

Ma qualcosina, ancora, avrei da dire su quell’essere zombi.

 

la-notte-dei-morti-viventiScena ripresa dal film: La notte dei morti viventi.


Perché è facile, quasi scontato, riportare quella sensazione nella quotidianità, riflettere e scoprire quello che già sai, che a forza di baciare la nostra compagna o nostro compagno, di far l’amore, tutto diventa ripetitivo, perde interesse e piano piano un giorno non ci fai più caso.

 

Quasi, quasi al ritorno le compro un bel mazzo di fiori, non c’è nessuna ricorrenza e forse proprio per questo avrà più valore, lo stesso di quell’alba appena passata.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

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Sapete quando si comincia a capire che non si è più giovani?

 

Io l’ho capito nel momento che mi sono ritrovato nel comodino due astucci, uno per gli occhiali da lontano, uno per gli occhiali da vicino.

 

Ho avuto bisogno degli occhiali fin da giovanissimo ed è stato per la mia indole, lento, il processo di accettazione. Agli inizi non li indossavo se non a casa quando dovevo studiare.
Provavo vergogna, ero giovane, 14 anni. un’età piena d'incertezze e scoperte.
E seppur ero attento e tra quelli più bravi, tanto da esser etichettato e inserito tra i secchioni della classe, per la massa ero il ragazzo silenzioso, non tanto sveglio, imbranato.
Sapevo che se mi fossi presentato a scuola con gli occhiali da vista, sarei stato preso in giro e questa consapevolezza, questa paura, scaturiva dal fatto che già quotidianamente, bastava per provocare lo scherno, il mio modo di parlare, la mia capigliatura e i miei vestiti, anche se non erano poi differenti da quelli indossati dal resto dei miei compagni, solo che io li indossavo male :-).
Ad un certo punto, però, ho dovuto per necessità di cose e salute, indossarli, da quel giorno non li ho più tolti.

 

Se dovessi, quindi, definire quegli anni e scegliere un termine per descriverli, non userei parole positive, non userei ad esempio il vocabolo: “felicità”, purtroppo. E devo scrivere con rammarico che sono state più cattive la compagne, seppur non abbiano mai usato violenza fisica, come è capitato qualche volta con i maschietti e me ne dispiace, perché la donna merita per la sua storia un incondizionato sostegno.

 

La parentesi aperta sulla mia adolescenza doveva esser più breve, ma va bene, scrivo quel che mi sento e non m’importa dei giudizi, delle banalità che possono scaturire da chi vede in quel che scrivo un prosaicismo o prolissismo un pò marcato.
Oggi, non potrei fare a meno degli occhiali, di tutti e due. 🙂

 

 

Per chi è abituato a leggere e ha basato e basa il proprio lavoro su questo e in generale sul leggere qualunque cosa è trascritta o disegnata su un foglio di carta, la vista è fondamentale.
E se non si preserva non si può godere della lettura di un buon libro, magari la sera, come alternativa alla tv, allo sproloquio sempre più vivo e irritante che essa presenta ai suoi spettatori.

 

Ieri ne stavo continuando uno: Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro.

 

Ho sempre amato i racconti con un pò di irrealtà dentro, quella che va oltre il presente e sfida le regole e le dinamiche del futuro. Ieri leggendo mi sono ritrovato a riflettere sulla cecità.
Da qui, forse, lo spunto che mi ha portato alla parentesi degli occhiali. Una cecità fisica ma non solo.
Una cecità verso ciò che conosciamo, che apparentemente vediamo come chiaro e limpido.
Mi rendo, invece, conto che sono cieco verso tante realtà, tante superfici che una volta toccate mi portano a scoprire facce nuove, substrati che non avevo neanche idea, fossero lì.
Il problema è, che sono convito che quella superficie è, come la vedo e arrivo anche a litigare per sostenere che è così come la guardo. Per poi renderti conto che sono un’idiota e litigo ancora, perché l’orgoglio mi porta a giustificare, ciò che era il mio pensiero, la mia convinzione.
Ma credetemi cerco di arrivare a quello spazio comune che porta alla riconciliazione, indipendentemente dalla superficie infranta, ma a volta giunge prima il BASTA, finiamola qui.
E dopo ho la sensazione di ritrovarmi in un futuro diverso.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa
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Anche questa notte è stata insonne, la causa questa volta è però esterna.

 

Rumori molesti, ma non troppo.

 

Tuoni, lampi e fulmini.
Un bel temporale, iniziato verso 1:45 e conclusosi più o meno verso le 3:30.
Il cielo non è stato l’unico a farsi sentire, però, il rombo del mare si udiva forte e chiaro, a vederlo, poi, faceva paura. Dire che è stato uno spettacolo della natura vedere le onde alzarsi in cielo è, forse, banale, ma è stato così. Per chi vivi in costa è una vista abituale naturalmente, ma fa sempre effetto.

 

È mia abitudine ogni fine settimana uscire di buon mattino, 6:30 più o meno, per andar a far spesa. Oggi, posso dire che è stata una bella tirata, fino al sorgere del sole. Dal mio paesino mi sposto verso altri paesini limitrofi, per andare in quegli esercenti che il tempo mi ha fatto conoscere e apprezzare e di cui sono diventato, poi, cliente fisso. E così zampettando come una lepre, mi ritrovo a viaggiare tra stradine e piccole piazzette di paese.
Il primo a cui faccio visita è il fornaio.
Fino a qualche anno fa, a servire il pane, pane casereccio, niente a che vedere con il pane bianco che si trova in centro città o nei supermercati, c’era una vecchietta, nella zona molto conosciuta, nonna Lucia, oggi, c’è il nipote.
L’odore del pane appena sfornato è qualcosa di straordinario, vista l’ora in cui vado è caldo e fumante e quell’aroma è magico, perché mi porta in mente ricordi fanciuleschi, ricordi di nonni.
Dopo passo dal pasticcere, la mia compagna se non ha la colazione appena sfornata non si alza dal letto. Raviola con la ricotta, ne va matta.
È una pasticceria antica e conosciuta nella zona, quindi, se arrivi troppo tardi c’è il rischio di non trovare nulla.
Quindi, a volte mi trovo dietro la porta della bottega, che ancora nulla è stato sfornato, ordino e poi ripasso.
Un’altra visita fissa è la fruttaiola, in realtà non è una vera e propria attività. La signora dietro casa ha una campagna con un bellissimo orto, e tanti alberi da frutto. quindi, si è attrezzate per vendere quello che la terra gli dona. Qui, sì che posso dire dal produttore al consumatore, prodotti genuini, ovviamente non trovi tutto e quel che trovi segue le stagioni, ma mi fa pensare che noto in termini di qualità e gusto una differenza enorme tra un pomodoro comprato da lei e uno acquistato al supermercato.

 

Devo dire che queste passeggiate settimanali per me sono, rilassanti, nonostante sto in macchina parecchie ore.
Non c’è frenesia, non c’è grande traffico a volte per niente, c’è invece un movimento lento e quasi antico, nelle attività che si aprono, nei vecchietti che si vanno lentamente a posizionare nelle piazzette.

Oggi ho anche notato per la prima volta, le foglie vestite d’autunno.

 

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L’autunno è la stagione che più amo, quelle a cui sono più legato per tanti motivi, quello più scontato è che sono nato in autunno, in Ottobre. Poi i colori! Rosso, giallo, arancione, ocra, se è vero che abbiamo tutti un sottofondo musicale preferito, è altrettanto vero che abbiamo anche una tinta, un colore, preferito e il mio è in tutte le sfumature del rosso fino quasi a sfiorare il giallo.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

Scrivendo di poesia, di amore, di perdono c’è il rischio, come ho già avuto modo di esprimere in molte riflessioni, di cadere nella retorica e nella generalizzazione.
 

Ma poco importa, il bello è proprio questo.

 

Nella scelta del cammino, non si guarda in faccia nessuno, questo perché non c’è nessuno attorno.

Ora, la retorica sul cammino, sulla via, è piena di luoghi comuni e frasi fatte. Tutte legate alla scelta e all’ideologia che porta alla scelta.
 
Il cammino lo si può scegliere tortuoso e cupo:

 

 

luminoso e dritto:

 

 

E quanti appellativi dall’essenza filosofica si possono attribuire a questo sentiero invisibile:
La via del guerriero, la via della felicità, la via dell’eremita, la via della pace.

Alla fine si riflette semplicemente sulle scelte che si fanno.
La retorica, la generalizzazione e perchè no, anche la banalità smettono di esistere nel momento che si è orientati verso sé stessi e attraverso sé stessi si riflette come uno specchio quell’idea unita al sogno, che ci condiziona, cioè: l’ideale.

 

Per questo ringrazio chi condivide un pensiero o una scheggia della propria vita e sensibilità, perché ha superato quel limite che purtroppo, oggi, rende l’essere umano: egoista, presuntuoso e intellettualmente pigro. Vizi che portano a quell’idea che ho scritto nel procedente post. Che, oggi, la chiave di volta è la mancanza. La poesia era ed è, una conseguenza, alla perenne sensazione che mi manca qualcosa, che non si sta aggiungendo ma sottraendo qualcosa alla vita.
Cosa? Dipende dagli ideali che abbiamo.

 

Mi permetto di richiamare in questa riflessione quel che la sensibilità di chi mi ha commentato, ha creato, alcuni frammenti che sono esempi di un’ideale interiore:

 

“La poesia è il dialogo interiore che da forma alle cose: quasi tangibili, e le colora."
 

“Mi ricordo che il mio papà e la mia mamma mi leggevano sempre “favole al telefono”. Ed era così bello.”

 

“Vuoi mettere, l’emozione che si prova, quando mettendo la testa sulla sua spalla, lui in un muto conversare.. ti fa capire che c’è per te..”

 

Quel che lega questi tre frammenti di pensiero è: la comunicazione. Tutte è tre sono espressione di un calcolo che da’ come risultato: Qualcosa che al di là della sua valenza di somma, di addizione, di sottrazione o divisione, è un appello verso la ricerca di una voce.

 

Sapete cosa faccio quando ho bisogno di ritrovarmi?

 


Sarà, forse, il contatto con l’elemento primitivo o la sensazione di essere nell’atto di trovare un qualcosa, nella forma, ma è lì che il silenzio diventa vivo, che il tempo si dilata e si ritrae all’unisono, che il sottofondo non registra più suoni e quasi, quasi, si sente la voce dell’anima.  

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natodallatempesta0 più di un mese fa
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Dopo tante riflessioni al limite del tormento.
Bisogna equilibrare la bilancia e mettere dei pesi anche nell’altro piatto.
Non si può dare voce solo alle paure e ai vizi, anche la luce ha bisogno di attenzioni e gentilezze.

 

La festa di Ognissanti è passata, ieri si è un pò girato, visitato le fiere. Visto gente stravagante e ammirato cose che di solito hanno altre forme:

 

Fiera – 2 Novembre 2022

 

 

S’io facessi il fornaio vorrei cuocere un pane cosi grande da sfamare tutta, tutta la gente che non ha da mangiare. Un pane più grande del sole, dorato, profumato come le viole. Un pane cosi verrebbero a mangiarlo dall’India e dal Chilì i poveri, i bambini, i vecchietti e gli uccellini. Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame! Il più bel giorno di tutta la storia!


Gianni Rodari

 

Il momento poetico ci sta. La poesia a suo modo e con i suoi tempi arriva sempre durante il giorno, a ispirarci, a lusingarci, a regalarci un momento di elevazione spirituale che la vita quotidiana ci concede poche volte.
Poi se hai il cuore innamorato, sai le caz…..te che si dicono, quasi, ci si crede.

Sei seduto, davanti hai la donna che ti ha rubato il cuore, magari è sera, attorno tante persone che si divertono. Le prendi la mano e guardandola con lo sguardo migliore che hai, le dici:

 

Sei bella oggi.
Ti amo come il primo giorno.
Senza di te non sono che un piccolo uomo.

 

Qualcuno attento potrebbe anche notare i particolari, le attenzioni che lei indossa o si è creata: Perché no! Per ricordarci, che si fa bella non solo per lei, ma anche per noi.

 

Esistono, ancora, queste accortezza, questi gesti poetici?

 

Perché questa è la poesia, non è un componimento in rima, decantato secondo un ritmico accostamento di consonanti e vocali, ma un’impellente desiderio di dare forma ad un sentimento che vive e brucia in un determinano momento e che facilmente si spegne, dopo aver consumato l’ultimo tizzone di desiderio. Il suono è privilegiato in questa rincorsa all’amore.

 

Mia nonna mi raccontò che ai tempi, mio nonno, le dedicò una serenata. Un vera serenata, non canto lui, non aveva il dono di una voce intonata, ma si mise all’angolo della finestra con la coppola in mano e gli occhi in alto, mentre la banda, quattro orchestrali, un mandolino, una fisarmonica, un flauto e la voce solista, intonavano il brano d’amore.

 

Dedicarle: un sei bella, un ti amo, un sei l’unica, può lusingare e accendere per una notte il cuore e la passione che esso vuole e desidera. Ma serve altro, ben altro per costruire sopra la poesia, un castello di certezze, un maniero abbastanza fortificato da resistere alla più folle tentazione dell’uomo e anche della donna. La follia d’esser padrone del cuore di chi ami.
Perché sì! C’è chi pensa, che dopo il contratto stipulato con il primo bacio, la prima, come si usa dire oggi: far sesso, fottere, scopare, trombare (poesia dell’eccitazione direbbe qualcuno), volta si è padroni e si più riporre il cuore, non serve più, lei o lui oramai sono nostri.

In una coppia si dice che c’è sempre qualcuno che ama un pò di più, può esser vero, perché c’è sempre qualcuno che si tira indietro prima, che dice scusa per primo, che sorride dopo la lite per primo. Questa è la poesia, sentire di poter fare un passo indietro, di trasformare l’orgoglio in un verso di pace e perdono, di sorridere dopo aver visto la tempesta.

 

Si dice, anche, che in una coppia c’è una parte forte e una parte debole. Nella mia coppia all’apparenza è la mia compagnia la parte forte. Carattere risoluto a volte impulsivo, occhi vispi, parola spigliata, con armi appuntite sempre pronte a pungere con ironia e sarcasmo e una irremovibile concretezza che la rende tenace e perché no anche testarda.
Io, invece, riflessivo, creativo, come mi dice a volte; troppo in alto con i pensieri per vedere il mondo come è e capirlo. Agli inizi fragile mi diceva, con il tempo ha capito, che la fragile è lei e che le mie spalle sono così grandi da riuscire a sopportare, un mondo violento senza perdere mai la pazienza e la forza di rispondere con gentilezza. In un mondo dove è debolezza tutto questo.

Secondo il mondo di oggi, infatti, io sono un debole.

Osservate la società, il modello che si è creato e si sta creando e soffermatevi sull’identità di chi, oggi, abusa e sottomette ad esempio la donna.

 

Che natura ha chi afferma, alla fine se l’è cercata?

 

Non pensate che in tutto questo la poesia non gioca un ruolo importante. Gioca un ruolo determinante, nel momento che essa è sminuita, resa ombra di faccine e riassunti calligrafici.
La sintesi dell’anima, trasformata in una didascalia.

 

Ero partito con l’idea di scrivere qualcosa di felice e non triste, mi sa mi è riuscito a metà.

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