Libero

donmichelangelotondo

  • Uomo
  • 49
  • Andria
Leone

Mi trovi anche qui

ultimo accesso: Un'ora fa

Profilo BACHECA 2286

Adolescenza nella letteratura e nella Canzone d’Autore

 
 
 

Protagonisti, gli alunni dell’I.T.E.T “Cassandro Fermi Nervi di Barletta

Domani, 7 giugno 20221, alle ore 18.30, nell’auditorium “P.P.Mennea “ dell’I.T.E.T “Cassandro Fermi Nervi di Barletta, nella figura del dirigente Salvatore Citino,  i giovani studenti daranno vita allo spettacolo “L’adolescenza nella letteratura e nella canzone d’ Autore” nell’ambito del PON “La scuola che guida ed aiuta“ finalizzato ad arginare la dispersione scolastica.

L’evento, coordinato dalle professoresse Adele Passero, Vincenza Lamacchia e Raffaella Rotunno, si avvale della regia della dott.ssa Maria Filograsso , della direzione musicale del maestro Domenico Mezzina e della consulenza psicologica della  dott.ssa  Sara Nanula .

Un periodo difficile, quello adolescenziale, un periodo di crescita messo a repentaglio soprattutto dall’emergenza sanitaria, per questo un gruppo nutrito di studenti è stato coinvolto nella scelta dei brani letterari e dei testi musicali d’Autore, con tematiche che guardassero all’aspetto emozionale e ludico presente nell’attività teatrale e nella scrittura autobiografica e diaristica.

Grazie alla passione di docenti esperti, i ragazzi, dal primo al quinto superiore, hanno acquisito consapevolezza del proprio Io, un universo spesso ricco di ribellione, di pensieri inespressi, sogni e desideri , ammiccando alla costruzione di relazioni positive, causa e conseguenza di vitalità, allegria e voglia di ritrovare se stessi.

Ti piace?

Andamento lento

 
 
 

Avere l’umiltà di essere un purosangue e trascinare l’aratro

Ho sempre pensato che impegnarsi in tante cose, l’essere in mille faccende affaccendato, fosse segno di energia e vitalità.

Mi sono, in parte, ricreduto.

Sia chiaro, l’azione è sempre preferibile all’accidioso piagnisteo, ma accelerare, purtroppo, è, a volte, sintomo di profonda depressione, dell’incapacità di concedersi un riposo cerebrale, della non volontà di fermarsi a riflettere sulla propria precaria condicio di limitata umanità.

Bisognerebbe, invece, sedersi a contemplare le creazioni di Dio, come si può ammirare la perfezione anatomica di DeLacroix, i malinconici chiaroscuri di DeChirico.

Bisognerebbe lasciarsi inebriare dal profumo della Cappella Sistina, o farsi travolgere dal caos di Klimt, avere l’umiltà di essere un purosangue e trascinare l’aratro, la dignità di essere architetto e fare il manovale.

Ti piace?

Le difficoltà diplomatiche dell’Europa

 
 
 

Tra NATO ed ex Patto di Varsavia…

La NATO nasce all’indomani della seconda guerra mondiale, come applicazione pratica alla teoria americana del containment, volta per l’appunto a contenere le velleità dell’Unione Sovietica, che qualche anno più tardi si unirà con gli stati socialisti nel Patto di Varsavia, in un’alternativa strategica al controllo mascherato degli Stati Uniti. La storia aveva fatto capire agli americani che la pace sul suolo europeo sarebbe stata garantita da un trattato in grado di isolare il pericolo bolscevico e di reintegrare, con gradualità, nel novero degli stati civili, la Germania, così come avevano fatto  europei costituendo la CECA ( Comunità Europea dell’Acciaio e del Carbone) mettendo in comune la produzione del settore carbo -siderurgico, che avrebbe evitato in tal modo lo scontro secolare tra Germania e Francia e favorito l’integrazione di quei paesi, come l’Italia, privi di tali risorse, e la CEE ( Comunità Economica Europea) che creava un mercato comune e che, nel corso dei decenni, ha conosciuto uno strabiliante processo di integrazione politica e monetaria.

La Nato e il Patto di Varsavia hanno rivaleggiato, soprattutto in maniera indiretta, su campi di battaglia periferici, mai direttamente, animando le varie crisi internazionali, fino al 1°luglio 1991 quando il Patto fu sciolto.

La Nato invece ha conosciuto una progressione impressionante che può essere paragonata, con finalità apparentemente diverse, all’Unione Europea.

I dodici paesi fondatori (Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti) ne hanno poi inglobato altri con una raziocinio alle volte geografico, alle volte politico, il più delle volte strategico. Negli anni ’50 del secolo scorso fanno il loro ingresso la Grecia e la Turchia, unite dal Patto Atlantico, ma divise dai precedenti storici e soprattutto da rivendicazioni territoriali e marittime che si giocano in particolar modo sul terreno cipriota e che ancora oggi creano tensioni non di poco conto nel Mar Mediterraneo.

Nell’82 la Spagna entra a far parte dell’ Alleanza e nella CEE, scrollandosi di dosso gli anni della dittatura franchista.

La caduta del Blocco comunista segna lo spartiacque e il cambio di rotta da parte dell’Organizzazione. Con l’avversario numero, la Russia, provvisoriamente in standby, gli USA e la NATO hanno adottato la tattica dell’offensiva a tutto campo sul terreno sguarnito a Est, una terra di conquista da sfruttare centimetro su centimetro. E il 1999 diviene l’anno simbolo di questa nuova vita della NATO che orfana del nemico, è andata a disgregare i rimasugli del vecchio mondo socialista. L’attacco a Belgrado, una prova di forza senza alcuna autorizzazione, un precedente dimenticato dai più che a anni di distanza può far parlare a tutti gli effetti di aggressione, non molto diverso da ciò che i russi hanno fatto in Ucraina, e l’allargamento a Est con Polonia, la ex Cecoslovacchia e l’Ungheria, feudi del vecchio padrone, aprono la stagione dell’espansione orientale del Patto Atlantico che ha visto nel 2004 il suo arrivo culminante sulle sponde del Baltico, a due passi da Mosca, e in Romania.

Nel 2009 Croazia e Albania festeggiano il loro ingresso nel sistema di difesa, antecedendo il Montenegro (2017), il quale rafforza ulteriormente la sua volontà di essere indipendente dal passato e dalla vecchia fratellanza con la Serbia. Gli sviluppi precedenti al conflitto russo ucraino hanno rivelato la volontà, in primis degli americani, di stringere in assedio il  successore dell’Impero comunista, la Russia, non per questo meno temibile e minaccioso, e di isolarla dalla politica internazionale. Il pericolo russo, amplificato dall’azione militare, viene ancora avvertito da quei paesi “neutrali”, Finlandia e Svezia, che come l’Ucraina vorrebbero entrare nel Patto Atlantico, in un processo che affosserebbe anni di equilibri internazionali e che gioverebbe soltanto agli Stati Uniti che hanno avuto il merito di utilizzare la NATO come strumento della politica internazionale. Macron aveva parlato della «morte cerebrale» della NATO e della necessità di accelerare su una politica militare comune in Europa per poter contrastare Cina, Russia e gli stessi Stati Uniti. La Francia tiene molto a questo progetto di esercito comune europeo, essendo l’unica potenza nucleare. Ma come Lazzaro risorto dopo quattro giorni, così la rediviva NATO ha ripreso la sua grande sfida, quell’espansione a Est, che farebbe tanto comodo al vecchio Zio Sam. Nell’attuale situazione, l’Europa non riesce a incidere sugli sviluppi di un conflitto: sottomessa agli USA, incapace di imprimere una svolta nelle trattative tra le fazioni, la cui scena è occupata da altri protagonisti (Erdogan), agisce quasi come una grande potenza regionale e le sanzioni rischiano di rafforzare la partnership tra Cina e Russia e confermare l’imperialismo degli Stati Uniti. Ai miopi europei un misero pugno di grano.

Ti piace?

Le intenzioni e i risultati

 
Padre Alex Zanotelli è impegnato nel Rione Sanità a Napoli

Padre Alex Zanotelli è impegnato nel rione Sanità a Napoli

Mettersi nei panni dell’altro è un esercizio che coincide con l’umanità: non possiamo dirci umani se non siamo capaci di provare a capire, profondamente, chi abbiamo di fronte. Fosse anche il nemico, fosse un mostro. Ogni terrorista, del resto, dal suo punto di vista è un resistente ed è la Storia grande, alla fine, a tirare una linea sulle ragioni e sui torti – ammesso che sia equanime, questo tribunale della Storia: meglio se non fosse sempre composto solo da vincitori. Poi certo dipende: quali sono le condizioni in cui prendi quel punto di vista, quali le regole d’ingaggio, a prezzo di cosa fai il passo.

Nel presente, difatti, il confine tra intenzioni e risultati non è mai nitido: sovente cause ed effetti si confondono. Il bel libro di Alex Zanotelli, “Lettera alla tribù bianca”, per esempio, è un’appassionata esortazione ad uscire dalla propria “bolla” per farsi permeare dall’altro. Zanotelli può farlo portando in dote una vita intera da missionario: in Sudan, nelle baraccopoli di Nairobi, infine da sacerdote nel rione Sanità, a Napoli. Sa di cosa parla, prende le misure, conosce il Male qualunque veste assuma (di rado quella prevedibile), sa fin dove si può spingere l’integrità senza dissolverla.

Non tutti portano in dote la sua stessa esperienza. A proposito di Sanità: è ambientato lì il film di Martone, Nostalgia, tratto dal romanzo di Ermanno Rea. C’è un dialogo, magnifico, fra i due amici che dopo quarant’anni si ritrovano. Tommaso Ragno, il boss, Pierfrancesco Favino, lo “straniero”. In pochi minuti corrono il passato, il presente, si disegna il futuro. Certe cose non cambiano, ma sì: bisogna ostinarsi a crederci anche quando costa. Soprattutto quando costa e non rende.

Ti piace?

Meglio Sixto che mai

Meglio Sixto che mai
1 minuti di lettura
 
 

La prima cosa bella di martedì 7 giugno 2022 è l'estrema fortuna nella vita di Sixto Rodriguez, alias Sugar Man, diventato famoso a 70 anni e ricco ora che sta per compierne 80. Chi non ha mai visto il documentario su di lui (Oscar nel 2013) dovrebbe farlo subito. È il migliore da inizio millennio.

Sixto suonava negli Anni Sessanta, poi smise. Non seppe mai di essere diventato famoso da un'altra, allora inaccessibile, parte del mondo, in Sudafrica, dove le sue canzoni erano su tutte le radio e le cantava chiunque. Ce lo riportarono, anziano e stupito, quand'era un muratore a Detroit. Dopo, andò in tour per il mondo. L'ho visto a Milano.

Faticava, ma era una grande storia. Adesso, alla vigilia del compleanno, che sarà venerdì, gli hanno riconosciuto i diritti per quelle musiche suonate per decenni a sua insaputa. Come dire: gli hanno dato la Siae. Che nel suo caso rende agiata l'intera discendenza.

 

Ci sono due cose belle in questa storia. La prima è che puoi non sapere mai quanto conti, chi ti ama e perché, ma questa cosa esiste, è più forte delle barriere e un giorno viene a scovarti. La seconda è che, se ti ricordi di Sixto detto Sugar Man, tu non cambi per questo. Resti nella tua casa e suoni la tua musica: "Uomo di zucchero, non hai fretta, sei già stanco di queste scene".

Ti piace?

(Leggo)

«Voi siete la luce del mondo»Mt 5,13-16.

Queste parole mi scuotono, mi obbligano a riflettere, a meditare, a cercare di capirne fino in fondo il senso. Mi raccolgo e sento la tua presenza in me. Tu sei in me e agisci in me e attraverso di me. Vedi con i miei occhi, senti con le mie orecchie, parli con la mia lingua, ami con il mio cuore. Come non essere, allora, il sale e la luce del mondo, dal momento che sono il tuo tabernacolo?

(Prego)

Padre, che ci hai chiamati alla fede perché fossimo sale della terra e luce del mondo, aiutaci a non tradire mai le attese del tuo Figlio Gesù, perché tutti gli uomini rendano gloria a te.

(Agisco)

Di fronte alle responsabilità di fronte alla responsabilità non lasciarmi prendere dall'indifferenza, ma vivere ogni impegno con serietà e dedizione.

 

Ti piace?

Il beneficiario rancoroso

 
Matteo Renzi con Domenico Minniti, detto  Marco, che con lui presidente del consiglio fu sottosegretario della Presidenza del consiglio con delega  all'Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica

Matteo Renzi con Domenico Minniti, detto Marco, che con lui premier fu sottosegretario della Presidenza del consiglio

Ho letto il libro di Matteo Renzi e sono rimasta colpita, da frequentatrice di lungo corso della politica italiana, soprattutto dal modo esplicito con cui indica le persone di cui parla. Un’assenza assoluta di prudenza – caratteristica fondamentale dell’agire politico – che mi ha fatto tornare in mente lo striscione della gloriosa stagione del Teatro Valle Occupato: “Com’è triste la prudenza”, diceva. E’ triste. E’ triste che di quel teatro non si parli più, sembrava ed era una grande battaglia di cultura e democrazia, ma costa troppo, si vede, scoperchiare certi tombini sigillati – indicare le antiche responsabilità e assumersene di nuove.

Certamente quella di Renzi è una veemente autodifesa, è la sua versione dei fatti: tuttavia, ripeto, ho letto nei decenni decine di libri di leader politici. Salvo rare eccezioni, non dicono niente. Qui invece qualcosa si dice: di Marco Minniti, di Michele Emiliano, di certi magistrati ovviamente, di Matteo Salvini, di Massimo D’Alema. Sarebbe interessante mettere a confronto i protagonisti di questa storia, che poi è la storia recente del Paese. I Servizi segreti fanno da padroni, certo, e perché non andare a vedere cosa succede da quelle parti.

Mi è venuta incontro a un certo punto una massima di Andreotti: “La sindrome del beneficiario rancoroso”. Andreotti è stato un demone, nella politica italiana, ma non gli si può negare abilità nel destreggiarsi nella realtà. E’ una sindrome diffusa: fai del bene, dai – amore, per esempio: mica solo potere – e diventi colpevole di aver dato. Devi essere cancellato, eliminato. “Può esserti riconoscente solo chi avrebbe raggiunto la sua meta anche senza di te”, mi disse una volta un filosofo. Ci penso tanto.

Ti piace?

Il beneficiario rancoroso

 
Matteo Renzi con Domenico Minniti, detto  Marco, che con lui presidente del consiglio fu sottosegretario della Presidenza del consiglio con delega  all'Autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica

Matteo Renzi con Domenico Minniti, detto Marco, che con lui premier fu sottosegretario della Presidenza del consiglio

Ho letto il libro di Matteo Renzi e sono rimasta colpita, da frequentatrice di lungo corso della politica italiana, soprattutto dal modo esplicito con cui indica le persone di cui parla. Un’assenza assoluta di prudenza – caratteristica fondamentale dell’agire politico – che mi ha fatto tornare in mente lo striscione della gloriosa stagione del Teatro Valle Occupato: “Com’è triste la prudenza”, diceva. E’ triste. E’ triste che di quel teatro non si parli più, sembrava ed era una grande battaglia di cultura e democrazia, ma costa troppo, si vede, scoperchiare certi tombini sigillati – indicare le antiche responsabilità e assumersene di nuove.

Certamente quella di Renzi è una veemente autodifesa, è la sua versione dei fatti: tuttavia, ripeto, ho letto nei decenni decine di libri di leader politici. Salvo rare eccezioni, non dicono niente. Qui invece qualcosa si dice: di Marco Minniti, di Michele Emiliano, di certi magistrati ovviamente, di Matteo Salvini, di Massimo D’Alema. Sarebbe interessante mettere a confronto i protagonisti di questa storia, che poi è la storia recente del Paese. I Servizi segreti fanno da padroni, certo, e perché non andare a vedere cosa succede da quelle parti.

Mi è venuta incontro a un certo punto una massima di Andreotti: “La sindrome del beneficiario rancoroso”. Andreotti è stato un demone, nella politica italiana, ma non gli si può negare abilità nel destreggiarsi nella realtà. E’ una sindrome diffusa: fai del bene, dai – amore, per esempio: mica solo potere – e diventi colpevole di aver dato. Devi essere cancellato, eliminato. “Può esserti riconoscente solo chi avrebbe raggiunto la sua meta anche senza di te”, mi disse una volta un filosofo. Ci penso tanto.

Ti piace?

Chissà dove vanno le parole non dette

 
 
 

E le relazioni non curate…

Chissà che ne è delle parole non dette. Chissà dove vanno a finire le frasi omesse, le comunicazioni mancate, cioè le cose non “messe in comune”, giacché comunicare ha questa bella etimologia. Chissà se certi silenzi sono solo assenza di parole o anche terrificanti oblii di volti e di contatti.

Mi riferisco soprattutto alle parole digitate, nella pretesa che una condivisione social sia comunicazione autentica. E non si tratta di demonizzare nulla, né di screditare le immense opportunità della rete. È solo che non possiamo pretendere di sostituire i dialoghi, né di aggirare la responsabilità della comunicazione non verbale ad essi annessa. Sì, comunicare parlando significa farsi carico di toni di voce, sguardi, gesti, posture, che traducono e tradiscono emozioni, sentimenti, intenzioni, pareri. Tutte cose che la digitazione ci risparmia. Una spontaneità in grado di abbassare le maschere e di ridurre i tempi della riflessione diplomatica. Una trasparenza che disarma e ci mette di fronte alla crisi della critica, al fenomeno dell’opinione diversa, al dogma della sua non conversione forzata.

Forse è per questo che parliamo di meno e digitiamo di più: abbiamo sete di accettazione assoluta e scambiamo il confronto, il parere contrario, il consiglio scomodo con una dichiarazione di guerra. Digitare un messaggio e pubblicare contenuti vari è dire senza parlare, affermare solo per confermarsi, lanciare messaggi senza la fatica di affrontare un volto o una voce, guadagnarsi il like o la visualizzazione tranquillizzanti, convincersi di aver adempiuto i doveri minimi di una relazione.

Ci sono cose, però, che vanno dette, semplicemente dette. Messe in comune nella forma più bella e più antica. Condivise corpo a corpo. Le cose importanti non possono essere solo digitate soprattutto se, quando poi si è in presenza, non si riesce a comunicare come si deve, si trasuda imbarazzo, si trasmette nervosismo, si fatica ad essere veri, sinceri, si omettono dettagli importanti.

Pretendere che un messaggio sia idoneo a consolare un lutto, che una catena di “buongiornissimi” sia prova di attenzione, che un post su un evento importante della propria vita obblighi l’altro a considerarsi informato, dunque a reagire, che un proclama su facebook basti a chiarire, precisare, farsi valere, estorcere le ragioni che un bizzarro accenno di confronto non ha saputo conferire…è pretendere troppo.

Le relazioni hanno doveri minimi. La comunione comporta la comunicazione matura, aperta e spassionata. Occorre tornare a parlarsi, reggendo lo sguardo e decifrando la gestualità, senza cedere alla tentazione di affidare tutto a una manciata di digitazioni ben pensate.

Che la vita ci dia sempre l’opportunità di essere in tempo per dire, per comunicare ciò che ci portiamo dentro. Perché forse non c’è peggior rimorso dell’ “avrei potuto dire, avrei dovuto parlare”. Com’era quel film? Ah, sì: “Le parole che non ti ho detto”.


Ti piace?

L’importanza della parola

 
 
 

«Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca: 
sì che, com’elli ad una militaro, 
così la gloria loro insieme luca»

(Paradiso XII, vv.34-36)

La vita a volte ci manda dei segni, oserei dire che ci parla, solo che noi siamo attenti ad ascoltarla. Mi capitava, giorni fa, di parlare pubblicamente dell’importanza di spendere parole di luce, parole che facciano la differenza tra il giorno e la notte, piuttosto che urlare ottusamente il buio, ed ecco che ora mi tocca scrivere di san Domenico, che è il protagonista del dodicesimo canto del Paradiso, ma anche il fondatore dell’Ordo Predicatorum, l’Ordine dei Predicatori, i domenicani.

Non si deve sottovalutare, io credo, il chiasmo voluto da Dante tra il canto che precede e quello che ora leggiamo: lì, un domenicano, san Tommaso d’Aquino, prima celebra san Francesco e il suo matrimonio con Madonna Povertà, poi attacca i domenicani che non seguono l’esempio del proprio fondatore; qui, un francescano, san Bonaventura da Bagnoregio, tesse le lodi di san Domenico, canta il suo matrimonio con donna Fede e chiude fustigando quei francescani che, o per eccesso di zelo o per lassismo, tendono rispettivamente a inasprire o ammorbidire la regola francescana, tradendo in un caso e nell’altro l’intento del poverello d’Assisi.

Bonaventura parla animato da ardore di carità e ci racconta la vita di un santo, Domenico, che ha fatto della parola la sua missione: ed è proprio su questo punto che vorrei invitarti a soffermarti per un momento.

È come se Dante, che di questa narrazione è autore e regista, ci volesse dire: «State attenti, fate bene ad ammirare l’eroismo di San Francesco, la sua coerenza, lo slancio con cui si è unito a Madonna Povertà, ma san Domenico non è da meno…».

Sì, ne sono convinto. Non è da meno sposare la propria vita con la Parola. Cercarla, amarla, esserne assetato, provare in tutti i modi a comprenderla, accoglierla, ascoltarla, ruminarla, metabolizzarla, sentirne il dolce in bocca e l’amaro nelle viscere e, infine, se possibile, in infinità umiltà e gratitudine, restituirla.

Perché le parole vengono a noi per arrivare agli altri. In una sorta di cerchio della vita che ci chiama all’esistenza e ci pone nella condizione di trasmettere ciò che ci è stato donato.

Quale meraviglia e quale responsabilità. Già. Perché le parole possono essere lame o carezze. Pugnalare o generare. Dividere o moltiplicare.

Sono importanti le parole. In certi momenti, si mutano in Parola. E questa può fare davvero la differenza.

Buddha: «Le parole hanno il potere di distruggere e di creare. Quando le parole sono sia vere che gentili possono cambiare il mondo».

Jack Kerouac: «Un giorno troverò le parole giuste, e saranno semplici».

Martin Luther King: «Alla fine, non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici».

Ti piace?
, , , , , , , , , , , , ,