Il 24 giugno appuntamento scientifico presso l’Oncologia Medica Universitaria del Policlinico di Bari
Un evento alla sua prima edizione ma che si prefigge di divenire un appuntamento annuale di confronto tra esperti.
Di tumore mammario si parlerà a Bari il 24 giugno, presso l’Aula Magna del Policlinico, nell’ambito della 1° edizione di “Puglia on the road” un confronto tra specialisti e medici per parlare e confrontarsi su percorsi terapeutici della neoplasia più diagnosticata nelle donne: un tumore maligno ogni tre (30%) è purtroppo oggi un tumore mammario. La prevenzione resta l’arma più importante: la sopravvivenza a 5 anni di un tumore della mammella, diagnosticato in fase precoce, grazie alle campagne di screening, prevenzione e alle più moderne apparecchiature diagnostiche, è giunta all’88% circa. Nella relazione annuale del Ministero della Salute, nel 2020 in Italia sono state stimate circa 55mila nuove diagnosi di carcinomi e nel 2021, purtroppo, sono stati accertati 12.500 decessi. Purtroppo la pandemia degli ultimi anni ha rallentato gli screening per il tumore del seno, tanto da avere la Puglia ben a di sopra della media italiana per numero di mancati esami effettuati. Un dato sconfortante.
Protagonista della giornata di studio barese, sarà la figura femminile in qualità di paziente e donna attiva nella vita socio-lavorativa, nonché di operatore sanitario coinvolto nel management del carcinoma mammario attraverso percorsi di prevenzione. L’evento scientifico è promosso e organizzato dal Prof. Camillo Porta (Ordinario di Oncologia Medica e Direttore della U.O.C. di Oncologia Medica Universitaria del Policlinico di Bari) e dalla Dott.ssa Stefania Stucci (Responsabile Ambulatorio Breast Care Unit presso la U.O.C. di Oncologia Medica Universitaria del Policlinico di Bari).
“Con la creazione di una rete oncologica pugliese e di un network tra le Breast Units della Puglia –spiega l’oncologa Stucci- si mira a creare percorsi diagnostici terapeutici uniformi, lineari e finalizzati a diagnosticare rapidamente la malattia, considerato che il tumore alla mammella rappresenta circa il 30% dei casi totali di cancro in Puglia. Tale ambizioso progetto prevede, tra l’altro, di intervenire tempestivamente con le cure mediche, chirurgicamente e aumentare le possibilità di sopravvivenza. Grazie alla ricerca scientifica e alla scoperta dei biomarcatori che promuovono lo sviluppo e la progressione del tumore, riusciamo a garantire un miglior controllo della neoplasia. Di fatto, abbiamo remissioni prolungate, per cui per molte donne si può parlare di cronicizzazione. Non è raro, dunque, trovare pazienti impegnati nella vita sociale con oltre 10 anni dalla diagnosi. Pertanto, alla migliore cura si deve affiancare anche una terapia di supporto psicologico per ottimizzare la qualità della vita sociale e professionale. La nostra mission è anche potenziare la ricerca clinica, offrire al paziente oncologico trattamenti innovativi, ridurre la spesa sanitaria in quanto, nell’ambito di progetti scientifici e clinici, i farmaci vengono forniti gratuitamente e, soprattutto, ridurre l’emigrazione sanitaria verso le grandi regioni settentrionali”.
“In Puglia –conclude la Dott.ssa Stucci- la riduzione degli screening per il tumore del seno è stata più alta della media italiana. Nel primo anno e mezzo della pandemia gli esami “omessi”, rispetto al periodo pre-Covid, sono stati 44.380. L’Oncologia Medica Universitaria, lo scorso anno, ha erogato circa 400 visite oncologiche mostrando, tra l’altro, un trend in incremento anche nei primi sei mesi del 2022. In parallelo, è stato istituzionalizzato un ambulatorio di Cure Simultanee (Dott.ssa Teresa Grassi) all’interno del quale le pazienti possono beneficiare delle terapie di supporto per un benessere psico-fisico”.
“Non si vede che col cuore” recita un antico adagio. Rita e Debora Di Cugno di cuore ne hanno da vendere e, dopo aver incantato Trani con il suono della loro voce, vogliono esportare la loro musica fino agli anfratti della disabilità, per aiutare i più fragili a superare barriere e pregiudizi. Non vedenti dalla nascita, le sorelle Di Cugno ci descrivono, con dolcezza e magia, il potere evocativo del canto.
Ciao, Rita. Da non vedente, rispetto magari ad un cantante “multisensoriale”, cambia il tuo approccio alla musica?
Sono convinta del fatto che ogni persona abbia delle proprie particolarità, propensioni verso un determinato settore, abilità, ed è proprio grazie a tutto ciò che ciascuno decide quale strada intraprendere.
L’approcciarsi alla musica, così come ad ogni altro campo artistico, varia da persona a persona, tutto dipende dal talento, dalla passione e dall’applicazione.
Nel momento in cui subentra una disabilità, ovviamente in un primo momento potrebbero nascere dubbi su come affrontare determinate situazioni all’apparenza problematiche, ad esempio io ho iniziato a studiare il pianoforte e non leggo spartiti, ma in un secondo momento, grazie alla passione, all’impegno e alla costanza, l’approccio alla musica da parte di una persona non vedente è esattamente uguale a quello che può avere chiunque.
Credi che la disabilità che ci accomuna favorisca lo sviluppo creativo nel superamento di un ostacolo?
Assolutamente sì, una disabilità, nel mio caso quella visiva, implica vedere e percepire il mondo in maniera unica ed irripetibile. La mia visione della realtà è totalmente personale, essendo dettata da percezioni sensoriali provenienti da canali diversi dagli occhi, perciò ho dovuto, con il tempo, imparare ad ascoltare e seguire i miei altri sensi, riuscendo così a superare ostacoli che, per chi guarda dall’esterno, sono impossibili da superare per una persona non vedente, eppure la creatività che la disabilità ci aiuta a sviluppare è al di sopra di ogni aspettativa.
In una sorta di sinestesia, è possibile che l’ascoltatore, quando sente cantare te e tua sorella Debora, veda attraverso la vostra voce?
È possibile e, a dire la verità, è l’obbiettivo principale che mi prefiggo nel momento in cui mi esibisco davanti ad un pubblico, e credo che lo stesso discorso sia valido per mia sorella Debora.
Cantare, per me, non significa sfoggiare perfetti esercizi tecnici o semplicemente mettere in mostra un’abilità, ma significa trasmettere messaggi, raccontare storie, farmi portavoce di ideali nascosti nei testi delle canzoni. Vorrei sottolineare che è normale essere colpiti dalla musicalità di un brano, tuttavia bisognerebbe prestare maggiore attenzione a quali messaggi il testo vuole far passare. La musica ha un grande potere evocativo e il mio desiderio è quello di riuscire, con la mia voce e la mia interpretazione, a far sì che questo potere evocativo si manifesti quanto più possibile nella mente degli ascoltatori i quali, durante un brano, potrebbero immaginare scene della propria vita, riflettere su determinate tematiche, commuoversi o sentirsi consolati.
Dal Festival “Il Giullare” in Russia alle pagine di Odysseo, Debora, laureata in Filosofia, sarà prossima redattrice del nostro giornale. Cosa ci vuoi raccontare con la tua scrittura?
Debora: Scrivere è per me raccontare la bellezza, in ogni sua forma… La bellezza dell’ interiorità di ciascuno di noi, la bellezza di ciò che ci circonda, la bellezza delle emozioni, la bellezza di ciò che accade… Scrivere è magia perché con la scrittura riusciamo a dar voce alla meraviglia! Le parole colgono la meraviglia e la restituiscono a chi legge. Io amo trasformare in scrittura tutto ciò che rapisce il mio cuore per poter ridonare questo rapimento a chi legge.
Per concludere, parlateci del progetto “Notturno” e di come immaginate il vostro futuro…
Io e mia sorella siamo appassionate di arte in tutte le sue forme, sogniamo quindi di lavorare a stretto contatto con la musica, il teatro, l’arte di suonare uno strumento, il canto… Proprio a questo proposito Debora ha fondato un’associazione, “Notturno” di cui io sono orgogliosamente la testimonial, la cui mission è quella di creare un ponte d’inclusione che possa integrare le persone con disabilità nel mondo dell’arte, considerato però in maniera del tutto innovativa, fatto quindi di sensorialità, bellezza, unicità e uguaglianza, in quanto dovrebbe offrire a tutti la possibilità di esprimersi al meglio delle proprie possibiltà a prescindere se si ha o meno una disabilità.
Dmitry Muratov, Premio Nobel per la Pace con la medaglia venduta all'asta per 103 milioni di dollari
Pensa che meraviglia se tra le tracce di italiano per la maturità ce ne fosse una che cita Anna Politkovskaja, un tema da svolgere a partire da una riflessione sulla libertà per poi parlare della sua limitazione e della totale soppressione, talvolta, fino all’omicidio. “Mandante tuttora sconosciuto”, dicono le biografie a proposito dell’uccisione della scrittrice nata in America da genitori russi di origine ucraina, a “sconosciuto” se fosse in chat il candidato potrebbe aggiungere l’emoticon di un sorriso ma nel compito no, nel compito bisognerebbe scrivere in italiano due parole sul fatto che quel giorno era il compleanno di Putin: così, senza aggiungere commenti, volendo.
In quel “nata negli Stati Uniti da genitori russi di nazionalità ucraina” ci sarebbe tutto quel che basta per mezza pagina sulla natura e le origini del conflitto, persino sulle ragioni a volersi spingere in considerazioni personali che si sa è sempre un po’ rischioso, non sai mai chi ti metterà il voto, ma anche così bello, però – a proposito di libertà: meglio incarnarla che spiegarla. In alternativa potrebbe tenersi sulla cronaca e raccontare che Dmitry Muratov, fondatore del giornale per cui la giornalista lavorava – Novaya Gazeta, il nome del giornale, chiuso a marzo dal governo – ha vinto il premio Nobel per la Pace, l’anno scorso, e poi l’ha messo all’asta.
A New York, che è il posto dove Politkovskaja è nata, lo ha venduto per 103 milioni di dollari e li ha donati all’Unicef per i bambini ucraini. Questa storia è così bella che la racconterei anche se uscisse Ungaretti, o Gadda, o qualunque spunto sulla Grande Guerra. Non sei mai fuori tema se hai qualcosa da dire e tieni il filo. In bocca al lupo, ragazzi.
La prima cosa bella di mercoledì 22 giugno 2022 è l’orso Paddington, quello che prende il tè con la regina d’Inghilterra. E un motivo deve pur esserci. Dopo aver visto il video girato per il giubileo di Elisabetta mi è venuta la curiosità di vedere i due film con l’orso protagonista e li ho cercati sulle piattaforme. Il secondo è pure migliore del primo.
Se non ti è appassito il bambino dentro non potrai che apprezzarli. Di fatto sono un inno alla gentilezza e la trama non è altro che l’universale plot sviluppato anche in Miracolo a Milano.
Paddington è come l’orfano Totò, sradicato da un mondo, trapiantato in un altro, ma che cerca di rendere quello in cui si trova sempre e comunque un mondo dove buongiorno voglia davvero dire buongiorno.
Converte i ladri, combatte i veri delinquenti, realizza i desideri. Tutto lì. Difficile trovare qualcuno in grado di incarnare questo ruolo.
Ci vuole sempre un diverso: l’uomo che cadde sulla terra, l’orfano messianico, l’orso. L’orso in te. Credo che questo la regina d’Inghilterra volesse dire: che se potesse (ma perché non può?) consegnerebbe le chiavi del regno non a uno dei suoi tetri parenti, ma a Paddington. God save the bear.
«Guardatevi dai falsi profeti...dai loro frutti dunque li riconoscerete» Mt 7,15-20.
Tra USA ed Europa ci sono circa 5000 sette guidate da santoni capaci solo di circuire le menti alternando fermezza e dolcezza...ma capaci inoltre di togliere sia la grande libertà di pensiero, sia, purtroppo la vita inducendo pure al suicidio. Infine, un'altra cosa di certo mancano in maniera forte: la carità.
(Prego)
Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore.
Guidami sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in essi è la mia felicità.
Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso il guadagno.
Gli eventi positivi ti mettono sotto pressione, senti di non meritarli…
Siamo tutti, forse erroneamente, portati a considerare solo i traumi negativi, mentre da non sottovalutare sono soprattutto i traumi positivi.
Gestire la felicità o, come la definiscono gli psicologi più contenuti, la “serenità”, credetemi è il lavoro più difficile al mondo.
Non è un caso che la maggior percentuale di “impazziti” risieda tra i vincitori della lotteria. Persino il filosofo Anassagora sosteneva che la neve fosse nera, a dimostrazione di quanto sia complicato apprezzare la bellezza del presente, ma terribilmente umano preoccuparsi del futuro.
Gli eventi positivi ti mettono sotto pressione, senti di non meritarli, li ponderi come limitati e poco duraturi. Siamo contagiati così tanto dalle vecchie esperienze da evitarne di nuove, dimenticando che in Natura tutto migliora e progredisce.
Si intitolano “Marco ti voglio bene” e “Il viaggio di Claudia” i due cortometraggi girati ad Andria dal regista Riccardo Cannone e dal suo vice Giovanni Cicco. Storie di discriminazione nei confronti degli omosessuali, delle persone sole, ma anche storie di redenzione e di crescita comunitaria.
Ciao, Riccardo. Perché hai scelto di adattare in un cortometraggio il romanzo “Ragazzi che amano i Ragazzi” di Piergiorgio Paterlini?
“Ragazzi che amano i Ragazzi” raccoglie i racconti di vita di alcuni minorenni italiani. Piergiorgio Paterlini ha rielaborato in questo volume -pubblicato da Feltrinelli nel 1991- varie testimonianze di adolescenti che per la prima volta parlano liberamente e con semplicità del proprio orientamento omosessuale. Una di queste testimonianze dice della necessità di cercare ascolto e della impossibilità di trovarlo. Questo tema, toccandomi profondamente, ha ispirato un racconto cinematografico da ambientare ad Andria con tinte drammatiche e toni delicati. Il cinema permette di concentrare insieme suggestioni lievi e emozioni profonde nel tempo breve di un cortometraggio. Anche la musica può farlo, certo, e infatti la musica composta espressamente per il corto contribuisce al progetto. Una musica ispirata alla colonna musicale de “I 400 COLPI” di Truffaut.
Qual è il messaggio che lancia “Marco ti voglio bene”?
Vedi Miky, non penso che un’opera d’arte lanci dei messaggi: per quello, se posso permettermi una battuta, c’è whatsapp. Credo che un film, bello o brutto che sia, rientri nella categoria delle opere d’arte. Nel corto c’è una citazione di una altissima opera d’arte, un film di Pierpaolo Pasolini “Il Vangelo Secondo Matteo”: in una inquadratura c’è su una parete una fotografia che abbiamo rielaborato e che rimanda al film. E’ stato un modo per ricordare il grande regista e poeta nel centenario della sua nascita. Alla tua domanda rispondo ritenendo che la visione di “Marco ti voglio bene” offra l’occasione di riflettere su situazioni problematiche e sulle scelte che possano essere adottate per superare efficacemente le difficoltà anche nella nostra città, Andria.
A partire dal ddl Zan, cosa sarebbe opportuno facessero le istituzioni per favorire l’emancipazione della comunità LGBT+?
Il ddl Zan prevede “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Penso che una persona lesbica, gay, trans gender, bisessuale abbia bisogno che le istituzioni impediscano con forza le discriminazioni in base all’orientamento sessuale. Le istituzioni devono garantire diritti civili uguali per tutti: matrimonio, adozione. Le istituzioni della nostra città, di Andria, devono lavorare per aumentare la conoscenza degli effetti nefasti che comportano le discriminazioni, tutte le discriminazioni: di genere, di sesso, del colore della pelle, delle diverse abilità. E’ importante ribadire tutto questo: siamo in tempi in cui ancora qualcuno può giustificare a livello planetario una guerra atroce sostenendo che sia originata dai Gay Pride! Chiudo dunque aggiungendo che ho partecipato con orgoglio dal 1994 a tutti i Gay Pride tra Roma, Bari, e Barletta Andria Trani, e parteciperò a quello in programma per il 28 giugno di quest’anno. Vieni?
Secondo te, Giovanni, da aiuto regista, che tipo di sentimento fa da trait d’union tra “Marco ti voglio bene” ed il secondo corto “Il Viaggio di Claudia”?
Questa volta in vesti differenti da aiuto regista. Voglio innanzitutto ringraziare Riccardo, regista, di avermi dato questa opportunità di esser tornato a collaborare con lui nella realizzazione di questi due cortometraggi, che effettivamente nascondono un legame tra loro, se pur velato. Ecco, nella fase di preparazione dei due lavori, confrontandomi con lo stesso Riccardo, si è parlato di un percorso che ognuno di noi debba fare nella ricerca della felicità, nel cercare di essere se stessi, nel riconoscersi, nel sapersi valutare. A ciò, mi vengono in mente alcune parole tratte da un discorso fatto da papa Francesco proprio sulla felicità:
“Essere felici è smettere di sentirsi una vittima e diventare autore del proprio destino. Essere felici è lasciare vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice. È avere la maturità per poter dire: “Ho fatto degli errori”. È avere il coraggio di dire “Mi dispiace”. È avere la sensibilità di dire “Ho bisogno di te”. È avere la capacità di dire “Ti amo”. Possa la tua vita diventare un giardino di opportunità per la felicità … che in primavera possa essere un amante della gioia ed in inverno un amante della saggezza.”.
Credo sia proprio questo cercare di essere se stessi ciò che lega i nostri due protagonisti: Michele in “Marco ti voglio bene”’ potrà diventare autore del proprio destino se riuscirà a smettere di nascondersi e si aprirà all’associazionismo; l’altra, Claudia, protagonista de “Il Viaggio di Claudia”, potrà diventare autrice del proprio destino se saprà accettare l’aiuto che le viene offerto.
La ricerca della felicità è un percorso tortuoso, per questo non ci si deve sentire sbagliati nel chiedere aiuto, i due cortometraggi ruotano proprio intorno a questo concetto.
Dal punto di vista giovanile, il viaggio interiore che affrontano i protagonisti può fungere da rinascita partecipativa per le nuove generazioni?
Credo proprio di sì. Bello come entrambe le storie siano ambientate in una città come Andria. La rinascita di una comunità parte dall’agire e dal rimboccarsi le maniche delle nuove generazioni. Non bisogna aver paura di dire la propria, di mettersi in gioco, solo così le belle parole sul “cambiamento” di cui molto spesso ci si riempie il vocabolario possono tradursi in vera realtà. Bastano piccoli gesti per mantenere viva quella fiammella che si chiama passione. Io l’ho rivista in molti miei compagni di viaggio che hanno collaborato alla realizzazione dei due cortometraggi, Luca, Mattia, Marianna, Davide, Amedeo, Gabriele, Michele e tanti altri che hanno messo la loro passione, la loro dedizione nel realizzare qualcosa che potesse offrire all’intera comunità cittadina un monito di speranza.
La prima cosa bella di martedì 21 giugno 2022, primo giorno d'estate, la stagione che ci salva, è che in un altro calendario siano, invece, le idi Di Maio.
In questo spazio non passa praticamente mai la politica, men che meno italiana. Difficile possa essere in sintonia con il titolo. Questa è un'eccezione. Come dieci piccoli indiani stanno arrivando alla fine tutti quelli che hanno iniziato la legislatura con la fanfara e il giuramento.
È stata una legislatura da dimenticare, ce li stiamo infatti scordando uno dopo l'altro, i ministri del Conte 1. Dov'è ora l'imprescindibile Savona? Savona o morte, tutti tranne lui, e allora se non lui l'impeachment...e adesso?
Dov'è il professor Tria, quello con la borsa sottobraccio che correggeva gli sforamenti? Dov'è Toninelli? Non vogliamo saperlo. Dov'è l'ennesimo Fontana? Avrà trovato casa la Trenta? Chiedi chi era Bussetti. Stiamo arrivando al vertice.
Salvini non è più l'uomo col sole in tasca, o in testa. E vacilla Di Maio, il capo politico che dispensava posti e ora ne cerca uno per sé. È una nemesi perfetta che ad avversarlo sia la sua creatura di un lunedì svagato. Poi toccherà pure a lui. Sento già l'obiezione: non è che al prossimo giro ci sarà da stare allegri. No, ma la vita è adesso.
(Leggo)
«Entrate per la porta stretta» Mt 7,6.12-14.
Il fatto serio della fede, evitare latristezza ed evitare la delusione. La porta stretta ci dice le difficoltà di ogni giorno nelle relazioni, nel lavoro e ovunque. Ma il fatto di superarla, nasconde la gioia e la serenità di attraversare quei momenti difficili.
(Prego)
Grande è il Signore e degno di ogni lode.
(Agisco)
Non perdere l'entusiasmo per gli ideali di verità, di carità e giustizia.