Vorrei, oggi, cercare d'esser meno (lasciatemi passare il termine) tormentato e scrivere questo nuovo pensiero con il peso di una:
piuma.
Vediamo se riesco ad esserlo? :-)
Come ho scritto (parecchie volte), sono stato e sono un uomo riservato, un modo politicamente corretto per dire: “timido” e nel bene e nel male la timidezza ha, sempre, giocato un ruolo importante durante la mia crescita, oserei dire quasi invadente, senza quasi.
Vi racconto un episodio che spero vi faccia sorridere. :-)
La pubertà si sa’ è ricca di novità. Tra le più sorprendenti e sospirate c’è l’amore, ma non l’amore maturo, quello acerbo: le prime cotte, i primi batticuori.
Durante gli anni di scuola, ho avuto delle simpatia, ma un solo batticuore, si chiamava Sonia.
Una ragazza alta (tre le più alte della scuola) tanto per complicarmi la vita. Castana chiaro, quasi bionda. All’epoca anche i capelli erano affascinanti e attiravano attenzione, tanto da far sussurrare:
“Che bella quando si tocca i cappelli e lascia cadere le lunghe ciocche sul collo”. Eh ragazzi (sospiro) :-)
Si era giovani e si iniziavano a notare le forme, rotondità che guardavi con timore (per lo meno io). Rotondità che diventavano poesie da sognare, versi sussurrati all’ombra di un’età troppo incosciente per capire e vivere l’attesa.
Siamo stati anni vicini di banco, ben cinque anni, sembrano pochi, ma non lo sono.
Ora potreste chiedervi e chiedermi o anche no, lo faccio io per voi. Ti sei dichiarato?
Sì, ma non come immaginate. Troppo timido, troppo impacciato, troppo insicuro al di fuori del mio talento.
Un giorno, credo sia stato durante il penultimo anno, scrissi una lettera, una poesia in cui dichiaravo il mio amore (chiamarlo amore oggi è strano), non ebbi il coraggio di consegnarla tra le sue mani.
La feci scivolare nella sua cartella.
Ho ancora conservata la brutta copia di quella lettera e leggendola a volte sorrido per quanta ingenuità c’era in quel ragazzo.
Lei non mi disse mai nulla, la lettera finiva con una preghiera, di non dire nulla se il mio amore non fosse stato corrisposto e nulla fu mai detto fino all’ultimo giorno di scuola. Oggi una parte di me pensa che è stato un modo sbagliato di vivere il sentimento, che la mancanza di coraggio, frutto di un’infanzia dolorosa mi ha impedito d’essere incosciente. Ricordando l’episodio mi sento, quindi, sciocco, ma anche fortunato, d’aver vissuto quella che i poeti un tempo chiamavano pena d’amore, non l’unica.
Alla fine questa mia riservatezza mi ha permesso di capire me stesso e le ragazze, e nel tempo le donne (capire, non vedere la loro essenza).
Tante che una delle prime frasi che mi disse la mia compagna, agli inizi della nostra storia, fu: “Hai uno spiccato lato femminile.”
Un complimento? Io lo presi come tale.
Capire una donna, non significa provare le sue stesse emozione o far coincidere i nostri pensieri con i suoi pensieri.
Per me significa avere la capacità di sentirsi donna, che non significa desiderare lo stesso sesso o sentire l’impulso di vestirsi da donna, elevatevi coglioni. :-)
Significa semplicemente pensare che: cambiare il pannolino ad un bambino, lavare i piatti, stendere la biancheria, spazzare a terra, non siano un limite. I limiti impediscono d’entrare nel cuore e nella mente di un’altro essere umano, i limiti rendono una donna diversa da un uomo e quando la diversità è un limite e non un’illimitato orizzonte, allora non si sente il bisogno di camminare insieme, ma di forzare quei limiti. E ci si eleva a liberatori, quando in realtà si è solo invasori.
Leggerezza. Lo sono stato?
Spero di esserlo stato (qualche dubbio c’è) e che sia stato piacevole leggere quell'episodio del mio passato.
Ho il bisogno di dare un sottofondo a questo pensiero. Una sola canzone mi è venuta in mente, mi gira in testa da quando ho iniziato a scrivere, sarà scontata, ma queste è:
Buona giornata a chi ha letto.